Appunti sparsi sulla nuova nazionale di Spalletti

Archiviata la patetica uscita di scena di Roberto Mancini, che intanto ha già lasciato il segno sulla sua nuova nazionale con due squillanti sconfitte, l’Italia di Luciano Spalletti ha intrapreso il proprio cammino alternando luci ed ombre. Come era facilmente pronosticabile, visti i soli cinque allenamenti a disposizione ed i poco più di dieci giorni di lavoro del nuovo Commissario Tecnico, gli azzurri hanno mostrato vecchi difetti ma anche alcuni cambiamenti che fanno ben sperare.

Innanzitutto basta con le rendite di posizione! Almeno in questo primo giro di convocazioni ed in queste due gare, l’uomo di Certaldo ha fatto intendere non solamente a parole che in un momento di difficoltà non si possono più aspettare calciatori con poco minutaggio nei rispettivi clubs, né continuare ad impiegare atleti per la sola gratitudine dell’ultimo europeo vinto. Ecco allora la fascia a Ciro Immobile che, forse anche spronato dalla promozione al rango di capitano, ritrova finalmente la gioia in azzurro in Macedonia ma poi, probabilmente ritenuto meno adatto per la partita di San Siro, resta in panchina appena 72 ore dopo. Ed ecco anche la parole chiare, limpide, nette su Donnarumma: abbia rispetto per il proprio talento, non dia tutto per scontato, continui a lavorare forte altrimenti la sua titolarità è seriamente a rischio! Eppoi Scalvini dall’inizio a San Siro, Zaccagni promosso titolare in due partite decisive dopo l’incomprensibile esclusione subita da Mancini, il lancio di Raspadori in una partita assolutamente da vincere. Sembra insomma finalmente esserci un disegno dietro una squadra che si adatta agli avversari senza pensare di dover vincere su ogni campo solamente per la maglia che si indossa. Dopo l’oggettiva delusione patita in Macedonia del Nord, dove comunque probabilmente l’Italia avrebbe portato a casa i tre punti se Donnarumma non avesse commesso un errore colossale, con l’Ucraina la truppa di Spalletti ha giocato almeno 35 minuti veramente convincenti in cui avrebbe potuto e dovuto segnare più reti.

Se dunque nella gestione del gruppo la svolta è sembrata decisa, nel gioco si sono notati vecchi difetti che sarebbe ingeneroso addebitare alla “nuova” Italia. Sia contro la Macedonia del Nord che contro l’Ucraina, Immobile e compagni hanno dimostrato continuità nella ricerca quasi ossessiva del dominio del gioco attraverso un palleggio che però si è rivelato spesso orizzontale e poco pericoloso. Ma nel secondo impegno, quantomeno nella prima frazione, i miglioramenti sono stati netti anche e soprattutto per la composizione del centrocampo azzurro: il trio Locatelli Barella Frattesi ha fisicamente dominato la riconquista della palla ed ha cercato spesso di buttarsi negli spazi offensivi mettendo in crisi la retroguardia avversaria. Con Locatelli intento a verticalizzare il prima possibile insieme a Bastoni e Scalvini (finalmente due centrali difensivi dai piedi buoni anziché Mancini della Roma!!!) e, nel contempo, ad abbassarsi per fare il terzo centrale dietro, l’Italia ha attaccato a pieno organico anche con i due terzini Di Lorenzo e Dimarco costruendo trame interessanti, pericolose ed a tratti divertenti. Resta l’atavico problema del gol che nemmeno Raspadori è riuscito ad attutire, un Raspadori che è comunque apparso più adatto di Immobile a legare il gioco ed aprire spazi alla vera forza della nostra nazionale, gli inserimenti dei centrocampisti che spero regaleranno emozioni al nuovo CT.

Restano dunque 4 punti in due partite ed una qualificazione ancora tutta da conquistare soprattutto se Spalletti non riuscirà a registrare meglio una difesa che continua a subire troppe reti: se l’attacco segna poco e la difesa imbarca acqua si rischia sempre troppo ed a Firenze lo sappiamo bene……

A voi per i commenti!!

Il talento dei mancini Vlahovic e Lamela – parte diciassettesima

Dopo alcune settimane torno a scrivere sulle colonne di questa rubrica per l’amore che ho nei confronti di questo fantastico sport e dei gesti tecnici che rendono il calcio poesia.

Nel fine settimana abbiamo infatti potuto ammirare due gol bellissimi, fantastici che hanno molte cose in comune ma che nascono da presupposti completamente diversi. Sto parlando del gol di Erik Lamela, che ha trafitto con una meravigliosa rabona il portiere dell’Arsenal nel sentitissimo derby del nord di Londra (per chi se lo fosse perso lo potete ammirare qui https://video.gazzetta.it/video-gol-arsenal-tottenham-2-1-rabona-lamela-highlights/88b2f348-84f3-11eb-8f04-a7c0b262f9aa ), e della terza rete siglata da Dusan Vlahovic nella vittoria della Fiorentina a Benevento (eccolo qui  https://www.youtube.com/watch?v=N-QLm9df5vo).

Lamela e Vlahovic sono certamente due interpreti del talento al massimo livello: il giocatore argentino, molto conosciuto anche in Italia grazie al suo passato alla Roma, ha colpi sopraffini che però sono alternati a tantissime pause, il centravanti serbo sta piano piano arrivando ad una maturazione che per molti lo potrà portare su livelli di eccellenza europea. Mi preme però parlare dei punti di contatto e delle differenze che intercorrono tra i due gol. Innanzitutto dobbiamo sottolineare come entrambe le prodezze siano arrivate dal piede sinistro: quante volte abbiamo sentito dire che i mancini, ad esempio nel tennis, hanno qualcosa in più? Chi di noi non ha mai ascoltato parole quali “è mancino, dunque un’artista un pò folle che vive sulle nuvole”? Se dovessimo giudicare dalle immagini delle prodezze del fine settimana, certamente Lamela e Vlahovic entrerebbero di diritto nella categoria degli artisti del gol! L’ingresso però in questa categoria avviene da porte diverse, poiché i due calciatori arrivano al medesimo risultato, ma preparano la prodezza in modi opposti.

Il centrocampista del Tottenham infatti, inventa la giocata sul momento, non pensa, non riflette, calcia di prima con la cosiddetta rabona (qui il significato della parola direttamente dal dizionario https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=rabona ). E’ dunque una giocata d’istinto che lascia di stucco non solamente la difesa avversaria ma anche i compagni che infatti lo guardano quasi scioccati dalla bellezza del gesto. E’ insomma un talento innato, una capacità superiore che il calciatore riesce ad utilizzare in un momento specifico della gara senza aver bisogno di un allenamento particolare: è una pennellata in un quadro, uno schizzo su tela.

Ben altra cosa è il gol di Vlahovic: l’attaccante viola si costruisce la rete da cima a fondo con una serie di gesti di tattica e di tecnica individuale. Per prima cosa frappone il corpo tra il difensore avversario, Glik, e la palla scagliata dal proprio portiere: giocata di tattica individuale fondamentale che gli permette di ricevere palla e di averla fin da subito sul piede migliore, il sinistro, grazie al perfetto posizionamento del corpo. La giocata da sballo è però il controllo della palla! Con un rinvio che proviene da circa 50 metri, con il difensore che lo spinge alle spalle per metterlo in difficoltà, Vlahovic riesce ad eseguire un controllo orientato, cioè riesce a stoppare la palla facendola già scivolare verso il piede più forte permettendogli di continuare con la corsa verso la porta. Tale gesto tecnico gli offre un vantaggio enorme nei confronti del difensore! La giocata fenomenale è proprio questa perché permette a Vlahovic, con un tocco solo, di essere già in corsa con la faccia verso la porta avversaria avendo seminato il proprio marcatore. Da lì in poi è tutta farina del suo sacco con un altro tocco per aggiustarsi la palla e poi uno splendido tiro che si insacca imparabilmente sotto l’incrocio dei pali.

La differenza tra il gol di Vlahovic e la rete di Lamela è dunque tutta nella costruzione del tiro: da una parte l’istinto, l’idea innata, la giocata folle di prima, dall’altro il controllo perfetto e poi la lucidità nel cercare l’angolo più lontano. Mentre quello dell’argentino è dunque puro talento, quello del serbo è maggiormente cercato grazie anche al lavoro di anni ed anni di esercitazioni di tecnica e tattica individuale. Due gol magnifici, che fanno balzare dalla sedia ma che provengono da istinti, presupposti e conoscenze tecniche molto diverse tra loro. 

A voi quale piace di più? E perché?