Il calcio è (era) uno sport popolare

Quante volte abbiamo sentito questa affermazione? Ma è davvero ancora così?

Ascoltiamo racconti di scuole calcio che costano meno dei corsi di tennis, nuoto, equitazione, anche se i costi si sono ormai livellati a quelli di basket, pallavolo o altri sport di squadra e, se fino ad alcuni anni fa almeno il settore giovanile era gratuito o comunque prevedeva solamente un piccolo contributo per le spese delle società, ormai si continua a pagare come se il ragazzo fosse ancora alle prime armi. Il processo è stato lungo e tortuoso, certamente il taglio dei contributi e dei trasferimenti da parte degli enti locali all’associazionismo sportivo ha dato una bella legnata, ma anche la sempre maggior professionalizzazione degli istruttori che quotidianamente lavorano con i nostri ragazzi, ha avuto un forte impatto. Quando portiamo i nostri ragazzi a fare uno sport, qualunque esso sia, vogliamo che trovi una persona preparata da tutti i punti di vista e dunque vogliamo un professionista: in quali settori della vita non paghiamo un professionista del settore con tutto il suo bagaglio di conoscenze e tutta l’organizzazione che ha dietro? Perché dovremmo avere un servizio gratuito proprio nelle società sportive che sono vere e proprie agenzie educative territoriali? Sarebbe un discorso complicato, ma credo fermamente nel valore dello sport come strumento di crescita, socializzazione, conoscenza delle regole e rispetto verso gli altri e mi sembra giusto pagare un servizio che permette ai nostri figli di diventare non tanto calciatori o cestisti, ma cittadini migliori.

Lo stesso discorso però non regge quando ci spostiamo alla fruizione di quello che ormai è (purtroppo) diventato uno spettacolo, talvolta un circo, cioè il calcio professionistico. L’appassionato è ormai considerato un limone da spremere, un cliente che deve obbedire alle logiche del mercato senza tenere conto della specificità del calcio. Un tifoso che voglia seguire pedissequamente non solo la propria squadra del cuore ma le partite in generale, deve mettersi le mani in tasca per le gare interne e per le potenziali trasferte, ma non solo…. Se intende non perdersi neanche un minuto delle competizioni europee, è costretto non ad un abbonamento ad una pay-tv e nemmeno a due ma addirittura a tre!! Tra Serie A e Coppe europee infatti, si è venuto a creare una sorta di cartello per cui si è assistito ad una spartizione delle gare in modo da far acquistare al tifoso l’abbonamento a DAZN, SKY e AMAZON PRIME. In questo modo, escludendo gli ingressi allo stadio, siamo già intorno alle 1.000 euro spese annualmente per poter vedere lo sport più amato. E tutto questo come mai? Semplicemente perché i costi del circo messo su dalle società sportive ha raggiunto cifre esorbitanti: contratti che ormai regalano milioni di euro come noccioline, costi di procuratori ed intermediari sempre più alti, compravendite di calciatori i cui importi sono artificiosamente gonfiati per provare a mettere a posto i bilanci.

E gli illuminati presidenti e dirigenti societari come pensano di risolvere questi problemi? Non attuando un dimagrimento dei costi e riformando gli aspetti che non funzionano, ma solamente cercando di alzare gli introiti, gli incassi. In una famiglia normale, se con lo stipendio non si arriva a fine mese, la soluzione non è cercare di incassare artificiosamente di più, ma al contrario diminuire le spese! Nel calcio invece, si pretende dalle televisioni maggiori entrate e dalle partite maggiori incassi. Ecco allora che i tifosi vengono tartassati due volte: da una parte le pay-tv sono obbligate ad aumentare gli abbonamenti per rientrare dei soldi dati alle società, dall’altra il costo dei biglietti singoli e degli abbonamenti aumenta ogni anno. Una deriva inaccettabile che sta facendo diventare elitario lo sport più popolare che c’è.

In questa follia collettiva però, un piccolo segnale di inversione di tendenza è arrivato: da questa stagione infatti, l’UEFA ha imposto alle società il costo massimo dei biglietti dedicati ai tifosi in trasferta (che già si sobbarcano tutti i costi del viaggio). Per vedere una partita di Champions League il costo massimo del settore ospiti dovrà essere di 60 euro, per una di Europa League di 40 euro e per la trasferta di Conference League di 20 euro. Una goccia in mezzo al mare dirà qualcuno, ma se uno degli enti maggiormente responsabile dell’esplosione dei costi ha preso una decisione del genere, significa che qualcosa si muove. Sono anni che tantissime tifoserie denunciano lo scandalo del caro abbonamenti, del caro biglietti e della svendita del gioco del calcio al solo business. I dati dei presenti negli stadi europei sono incontrovertibili: ci si reca sempre meno allo stadio e la popolazione dei frequentatori invecchia sempre di più. La risposta finora è stata sempre e soltanto quella di cercare di aumentare il numero delle gare e di aumentare lo spettacolo offerto (come si è provato a fare anche con l’orrenda nuova formula delle coppe europee), ma come al solito si è guardato al dito anziché alla luna. Ci si è dimenticati che lo sport dal vivo, il calcio in particolare, è aggregazione, spirito di squadra, divertimento, attaccamento alla maglia ed alla propria città. Se al tifoso togli l’abitudine di poter andare sempre allo stadio, se non gli permetti di mantenere forte il senso di appartenenza ad una comunità, lo uccidi. Il calcio vero è quello vissuto sugli spalti, in mezzo alla folla, con gli amici di una vita o con le persone appena conosciute….non quello sul divano di casa!

E la battaglia che tante curve stanno portando avanti negli stadi di mezza Europa, altre ragazze e ragazzi hanno deciso di combatterla fuori dal sistema professionistico. E’ anche per questo che sono proliferate squadre dilettantistiche che hanno come obiettivo primario il ritorno al calcio delle origini, a quello che regala passioni, attaccamento, senso di appartenenza. Il caso più clamoroso è quello dello United of Manchester FC squadra nata dopo che il Manchester United era stato venduto ad una famiglia americana. In difesa delle proprie tradizioni, alcuni tifosi fondarono una nuova società ancora oggi esistente che gioca nelle categorie dilettantistiche. Nella nostra regione, in Toscana, abbiamo alcuni esempi, la più famosa è certamente il Centro Storico Lebowski, giunto sulle pagine di tutti i quotidiani qualche anno fa per l’ingaggio di Borja Valero, che però ha una storia molto interessante alle spalle ed è ormai divenuta una realtà importantissima. Altri esempi sono la società lucchese del Popolare Trebesto o quella dello Spartak Apuane, compagini che hanno tifoserie appassionate che non lasciano mai da soli i propri calciatori e calciatrici indipendentemente dal risultato. E’ proprio questo il messaggio che dovrebbe passare, quello dell’attaccamento ai propri colori, alla propria maglia, al proprio stadio, alle proprie frequentazioni: nei dilettanti c’è chi lo ha capito da anni… che ci siano arrivati anche i padroni del vaporetto?

PS: se cliccate sul nome delle squadre dilettantistiche si apre il relativo sito o la pagina Facebook. Fateci un giro, ne vale la pena!!

3 pensieri su “Il calcio è (era) uno sport popolare

  1. Sono totalmente d’accordo con te riguardo al prezzo indecente che dobbiamo pagare per seguire tutte le partite che vogliamo. Nessuno dice che dovrebbero essere gratis, ma come hai detto tu costringerci a sottoscrivere ben 3 abbonamenti significa cadere nell’eccesso opposto.Un altro punto che condivido è quello in cui scrivi che il sistema calcio spreme così tanto gli appassionati non perché sia inevitabile, ma perché le società sportive dilapidano una quantità enorme di denaro in delle spese molto discutibili. Tra quelle che hai elencato, la più discutibile in assoluto è costituita dalle commissioni ai procuratori, che a mio giudizio non dovrebbero neanche esistere. Un procuratore guadagna già una percentuale dello stipendio di ogni suo assistito e il suo compenso è quello, non dovrebbe ricevere nient’altro. Se è così avido da volere altri soldi ancora, dovrebbe rivolgersi ai suoi assistiti, non alle società.Quando faccio questi discorsi gli altri tifosi mi dicono: “Se non dai la commissione al procuratore, lui porta il giocatore ad un’altra squadra”. Bene, lo porti pure: vorrà dire che al posto del suo assistito ne prenderemo un altro con un procuratore meno avido. Anche perché, se prendi nella tua squadra un giocatore con un procuratore avido, lui non è che prende la commissione all’inizio e poi sparisce dalla circolazione: puoi star certo che appena il suo assistito gioca bene 2 o 3 partite di fila lui tornerà a bussare alla tua porta per avere un aumento o un rinnovo, in maniera tale da arraffare altri soldi ancora. Se questi devono essere i presupposti, meglio chiudere il rapporto prima ancora di cominciarlo.Tornando al costo eccessivo del calcio televisivo, se guardo così spesso il calcio giovanile è anche per questo motivo: le partite del campionato Primavera sono disponibili gratuitamente su Youtube, quindi basta avere una connessione a Internet e puoi vederle tutte a costo zero. L’ultima che ho visto è stata Rimini – Lecco. L’ho scelta perché ero curioso di vedere all’opera il figlio di Suazo, che gioca nel Lecco: effettivamente è molto forte, ma lo è altrettanto un giocatore del Rimini, Ciavatta. Ha mandato in porta un suo compagno con un passaggio che rivela una visione di gioco sopraffina. Il cognome non è benaugurante, ma il piede sì, e se tutto va come deve andare lui e il figlio di Suazo un domani si sfideranno anche in serie A! 🙂

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    • Ciao Wwayne! Come al solito tanti spunti interessanti! Quanto al costo del calcio in TV è proprio quello che volevo dire! Nessuno lo chiede gratis, ma sarebbe opportuno non approfittare della passione della gente. Quanto ai procuratori, io credo che sia un lavoro come tanti altri ma ha un difetto incredibile: non è regolamentato! O meglio, è regolamentato, ma quando ci sono i controlli, non esiste un sistema sanzionatorio…dunque è come se le regole non esistessero!!
      Se mi dovesse capitare, Ciavatta e Suazo li guarderò con molto piacere!!

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