Il talento – parte decima

Dopo aver fatto una carrellata, spero esauriente, sulle trasformazioni positive intervenute nel settore giovanile e scolastico e nella gestione delle scuole calcio fino alla prima decade degli anni 2000, passiamo a parlare di quanto successo negli ultimi anni.

Il grande spartiacque che determina un cambiamento filosofico e culturale nell’indirizzo del Settore Giovanile e Scolastico, è la riforma con la quale si viene a creare “lo sportello unico” per le società tra LND e SGS (https://www.lnd.it/it/la-lnd/storia). La riforma ha tantissimi aspetti positivi per le società che si trovano di fronte finalmente un solo erogatore di servizi ed un unico riferimento con il quale rapportarsi grazie al quale vengono a mancare inutili doppioni. Da tale unione però, viene meno la forza propulsiva di idee e di investimenti del Settore Giovanile e Scolastico stretto tra la Lega Nazionale Dilettanti che detiene la sola organizzazione dei campionati e la FIGC che, non avendo digerito la nuova gestione, non ha più intenzione di investire sulla formazione e sulla cultura del territorio. In questo modo, in pochi anni, si blocca completamente l’evoluzione del rapporto tra calcio e scuola (ancora oggi moltissimi progetti sono quelli dei primi anni 2000), ed anche all’interno delle scuole calcio viene sempre meno la capacità di innovazione e di rinnovamento sia delle persone, che delle metodologie di allenamento. Tale impoverimento permette a vecchi vizi e stereotipi di riaffiorare e di reintrodursi all’interno delle scuole calcio.

Fortunatamente ci sono ancora validissimi tecnici federali che si fanno in quattro per non soccombere, ma il vento è decisamente cambiato. Ci sono diversi campanelli d’allarme che sono suonati ormai da anni ma che molti fanno finta di non vedere. Il primo, che secondo me è la fotografia più nitida dell’inversione di tendenza, è la possibilità di far iscrivere le squadre professionistiche nelle categorie più basse della scuola calcio. E’ ormai considerato normale che, ad esempio in Toscana, le squadre di quartiere della categoria Pulcini (8-10 anni) debbano misurarsi con Fiorentina, Empoli, Livorno etc, con queste ultime che sono già selezioni di bambini che vengono anche da fuori provincia. Tale facoltà ha diversi aspetti assolutamente negativi: innanzitutto i bambini iniziano a trascurare ciò che sarebbe più importante in questa fascia di età, cioè la scuola ed il divertimento, ed inoltre le piccole società si vedono sottrarre i bambini più bravi già in tenerissima età senza che ad esse sia corrisposto alcunché. Trovo sinceramente indecente che tutto ciò sia permesso prima dell’ultimo anno di esordienti (12 anni) che reputo essere il momento giusto per far formare alle società professionistiche le prime squadre. Non ci dimentichiamo che, secondo gli ultimi studi, 1 bambino ogni 40.000 (ripeto uno su QUARANTAMILA!!!) diventa professionista (quindi si parla anche di serie C non solo di idoli strapagati), e spessissimo i bambini che entrano nelle società professionistiche precocemente sono anche i più a rischio abbandono perché, mancandogli il divertimento e la vita normale fuori dal calcio, si stufano prima degli altri se non arrivano a certi livelli. Basti pensare che un bambino di 8 anni in una società professionistica si allena 3 volte la settimana (spesso lontano da casa), più la partita del weekend.

Negli anni il tema è stato dibattuto più volte e le società dilettantistiche si sono fatte sentire, ma la toppa che è stata messa non è assolutamente sufficiente. La soluzione trovata, è stata quella di far giocare i bambini delle società dilettantistiche contro i bambini delle professionistiche di un anno più piccoli. Quindi se la squadra di quartiere gioca con i nati nel 2011, le professionistiche giocheranno con i 2012. Tale espediente è stato pensato per rendere le partite più equilibrate, ma ha creato altri due problemi. Innanzitutto le società professionistiche hanno iniziato a prendere i bambini di un anno più piccoli, e poi le gare vengono giocate con molta più animosità perché i bambini (e soprattutto gli allenatori) con la maglia viola, azzurra o granata, non accettano nemmeno lontanamente l’idea di poter perdere o pareggiare con le squadre “da giardini”.

Ma per i professionisti i favori non sono finiti: pensate che esiste anche il campionato esordienti professionisti. Aldilà dell’evidente ossimoro esistente nella dicitura “esordienti professionisti”, essendo questa una categoria della scuola calcio NON HA SENSO DI ESISTERE!! O è scuola calcio, o è professionismo….i due concetti insieme non possono stare!!! Volete dire alle squadre professionistiche ed ai loro allenatori che la partita non ha risultato? Che lo scopo della gara è dimostrare ciò che hanno imparato in settimana senza badare al risultato? L’unico aspetto positivo è che giocando fra di loro, le piccole squadre di quartiere non rischiano di imbarcare goleade controproducenti, ma per il resto proprio non ci siamo!

Nel prossimo appuntamento poi, vedremo che tali indirizzi purtroppo non esistono solamente tra le società professionistiche ma purtroppo, seppur con un peso decisamente minore, anche nei campionati di settore giovanile a cui partecipano le società dilettanti. Alla prossima!!

Il talento – parte seconda

Dopo aver cercato di dare una definizione al talento ed aver provato a distinguere tra questo ed il genio grazie soprattutto ai vostri preziosi contributi, iniziamo a vedere come si può riconoscere ed allenare questo talento. Il percorso salterà dai ricordi personali di un innamorato del gioco del calcio, agli spunti didattici e metodologici appresi sul campo (come calciatore scarso prima e come allenatore un po’ migliore poi), nei corsi di formazione ed aggiornamento che ho dapprima seguito e poi tenuto all’interno del CONI, del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC e della Lega Nazionale Dilettanti.

La base del gioco del calcio è certamente il gesto tecnico che richiede conoscenza dell’attrezzo (palla) e capacità di coordinazione dei movimenti. Tale commistione tra capacità tecniche e capacità motorie avviene quasi spontaneamente quando i bambini hanno l’opportunità di giocare ai giardini o per la strada. In tali contesti infatti, si impara come comportarsi nelle più disparate condizioni: sul cemento, sull’erba, in mezzo alle buche, con le radici, con i tombini, con le pozze o con il fango….altro che sul sintetico così perfetto ma così finto! Per riuscire a controllare la palla nelle condizioni naturali, dobbiamo essere in grado di adattare il gesto tecnico a tutta una serie di variabili che il talento riesce spontaneamente a controllare, ma che il bambino meno dotato deve dapprima riconoscere, poi studiare ed infine domare grazie alla scoperta delle opportune contromisure.

Tutto questo però lo si può fare se si tocca tante volte il pallone, se si è protagonisti del gioco, se si ha la possibilità di sperimentare, dunque di provare, di sbagliare, di trovare la soluzione!! Quando ho iniziato a giocare a calcio (avevo poco più di 5 anni), come tutti i bambini che hanno genitori che lavorano, scelsi la scuola calcio più comoda e con la sede più vicina alla scuola che frequentavo. La società per la quale giocavo però, era una piccola realtà di quartiere che non aveva molti bambini per annata e dunque io, nato ad Aprile del 1976, mi ritrovai ad iniziare a giocare con bambini più grandi di me. Ricordo ancora che mi allenavo, io unico bambino del ’76 con il mio fraterno amico Simone, con una squadra mista di bambini nati nel 1975, nel 1974 ed addirittura nel 1973. Credo che solamente il nostro grande amore per il gioco ci abbia permesso di non smettere visto che gli allenamenti vertevano sulla corsa intorno al campo, su esercizi di tecnica individuale da fermo, su tiri in porta da scagliare da distanze per noi siderali e da partitelle in cui non toccavamo pressoché mai la palla.

Ricordo però ancora l’emozione per la convocazione alla prima partita, quando io e Simone fummo chiamati in una squadra in cui avremmo potuto esordire giocando con i nati nel ’75 e nel ’74! Fui schierato nel secondo tempo da terzino destro: ero un bambino di poco più di 6 anni e giocavamo 11 vs 11 in un campo regolamentare da 100 metri di lunghezza per 60 circa di larghezza. Il tempo per me volò perché ero entusiasta ed orgoglioso del mio esordio e della convocazione nella squadra dei più grandi (senza però considerare che quella della mia età non esisteva)! Al termine dei 25 minuti (se non erro) di gioco, sapete quante volte toccai il pallone? Beh…..2!! Di cui una con le mani perché fui incaricato dal Mister di battere una rimessa laterale!! L’altro tocco ricordo fu un rinvio di prima perché ero terrorizzato da questa palla che arrivava verso di me. La squadra in cui giocavo infatti, era più che discreta e dunque attaccammo praticamente sempre: mi è ancora oggi rimasto il dubbio che forse fui schierato terzino destro proprio per questo….Ma vabbè!

A parte ciò, ed a parte l’entusiasmo tracimante con cui tornai a casa, quanto pensate abbia imparato quel giorno? Quanto credete che quella gara sia stata formativa per la mia crescita? Come già detto, il talento e le capacità tecniche migliorano quando ci si trova ad utilizzare la palla ripetutamente in situazioni sempre diverse. Ecco dunque che la risposta è molto, molto semplice: ero contentissimo, ma quella gara è stata forse la più inutile che abbia mai disputato! Fortunatamente dagli anni 90 in poi  le federazioni hanno gradualmente abbandonato il calcio a 11 per i bambini più piccoli e trovo che sia stata una delle decisioni più sensate che sia stata presa negli ultimi anni.

Nella prossima puntata inizieremo a vedere quando e come si è provato ad invertire la rotta!