Il talento – parte decima

Dopo aver fatto una carrellata, spero esauriente, sulle trasformazioni positive intervenute nel settore giovanile e scolastico e nella gestione delle scuole calcio fino alla prima decade degli anni 2000, passiamo a parlare di quanto successo negli ultimi anni.

Il grande spartiacque che determina un cambiamento filosofico e culturale nell’indirizzo del Settore Giovanile e Scolastico, è la riforma con la quale si viene a creare “lo sportello unico” per le società tra LND e SGS (https://www.lnd.it/it/la-lnd/storia). La riforma ha tantissimi aspetti positivi per le società che si trovano di fronte finalmente un solo erogatore di servizi ed un unico riferimento con il quale rapportarsi grazie al quale vengono a mancare inutili doppioni. Da tale unione però, viene meno la forza propulsiva di idee e di investimenti del Settore Giovanile e Scolastico stretto tra la Lega Nazionale Dilettanti che detiene la sola organizzazione dei campionati e la FIGC che, non avendo digerito la nuova gestione, non ha più intenzione di investire sulla formazione e sulla cultura del territorio. In questo modo, in pochi anni, si blocca completamente l’evoluzione del rapporto tra calcio e scuola (ancora oggi moltissimi progetti sono quelli dei primi anni 2000), ed anche all’interno delle scuole calcio viene sempre meno la capacità di innovazione e di rinnovamento sia delle persone, che delle metodologie di allenamento. Tale impoverimento permette a vecchi vizi e stereotipi di riaffiorare e di reintrodursi all’interno delle scuole calcio.

Fortunatamente ci sono ancora validissimi tecnici federali che si fanno in quattro per non soccombere, ma il vento è decisamente cambiato. Ci sono diversi campanelli d’allarme che sono suonati ormai da anni ma che molti fanno finta di non vedere. Il primo, che secondo me è la fotografia più nitida dell’inversione di tendenza, è la possibilità di far iscrivere le squadre professionistiche nelle categorie più basse della scuola calcio. E’ ormai considerato normale che, ad esempio in Toscana, le squadre di quartiere della categoria Pulcini (8-10 anni) debbano misurarsi con Fiorentina, Empoli, Livorno etc, con queste ultime che sono già selezioni di bambini che vengono anche da fuori provincia. Tale facoltà ha diversi aspetti assolutamente negativi: innanzitutto i bambini iniziano a trascurare ciò che sarebbe più importante in questa fascia di età, cioè la scuola ed il divertimento, ed inoltre le piccole società si vedono sottrarre i bambini più bravi già in tenerissima età senza che ad esse sia corrisposto alcunché. Trovo sinceramente indecente che tutto ciò sia permesso prima dell’ultimo anno di esordienti (12 anni) che reputo essere il momento giusto per far formare alle società professionistiche le prime squadre. Non ci dimentichiamo che, secondo gli ultimi studi, 1 bambino ogni 40.000 (ripeto uno su QUARANTAMILA!!!) diventa professionista (quindi si parla anche di serie C non solo di idoli strapagati), e spessissimo i bambini che entrano nelle società professionistiche precocemente sono anche i più a rischio abbandono perché, mancandogli il divertimento e la vita normale fuori dal calcio, si stufano prima degli altri se non arrivano a certi livelli. Basti pensare che un bambino di 8 anni in una società professionistica si allena 3 volte la settimana (spesso lontano da casa), più la partita del weekend.

Negli anni il tema è stato dibattuto più volte e le società dilettantistiche si sono fatte sentire, ma la toppa che è stata messa non è assolutamente sufficiente. La soluzione trovata, è stata quella di far giocare i bambini delle società dilettantistiche contro i bambini delle professionistiche di un anno più piccoli. Quindi se la squadra di quartiere gioca con i nati nel 2011, le professionistiche giocheranno con i 2012. Tale espediente è stato pensato per rendere le partite più equilibrate, ma ha creato altri due problemi. Innanzitutto le società professionistiche hanno iniziato a prendere i bambini di un anno più piccoli, e poi le gare vengono giocate con molta più animosità perché i bambini (e soprattutto gli allenatori) con la maglia viola, azzurra o granata, non accettano nemmeno lontanamente l’idea di poter perdere o pareggiare con le squadre “da giardini”.

Ma per i professionisti i favori non sono finiti: pensate che esiste anche il campionato esordienti professionisti. Aldilà dell’evidente ossimoro esistente nella dicitura “esordienti professionisti”, essendo questa una categoria della scuola calcio NON HA SENSO DI ESISTERE!! O è scuola calcio, o è professionismo….i due concetti insieme non possono stare!!! Volete dire alle squadre professionistiche ed ai loro allenatori che la partita non ha risultato? Che lo scopo della gara è dimostrare ciò che hanno imparato in settimana senza badare al risultato? L’unico aspetto positivo è che giocando fra di loro, le piccole squadre di quartiere non rischiano di imbarcare goleade controproducenti, ma per il resto proprio non ci siamo!

Nel prossimo appuntamento poi, vedremo che tali indirizzi purtroppo non esistono solamente tra le società professionistiche ma purtroppo, seppur con un peso decisamente minore, anche nei campionati di settore giovanile a cui partecipano le società dilettanti. Alla prossima!!

Diario di un cassintegrato (parte nona)

Alzi la mano chi pensava mi fossi dimenticato di voi! Si lo so, sono passati ormai più di dieci giorni dall’ultimo capitolo della rubrica, ma nelle settimane natalizie sono stato impegnato: voi direte… bene, sei tornato al lavoro!! No macché!! Innanzitutto sono stato occupato dalla famiglia, perché i due bambini erano a casa per le vacanze, e poi, lo dico anche per chi non mi segue interamente sul blog, ho scritto una filastrocca per augurare buon 2021 a tutti ed ho iniziato una nuova collaborazione in video con un network. Insomma, non mi sono certo annoiato…..

In questi giorni però non mi sono staccato dalla realtà e dunque posso dire una volta tanto che sono orgoglioso di essere italiano? Fuori dalle battaglie ideologiche, dalle contrapposizioni tra No Vax  e Si Vax, tra sovranisti ed europeisti, dalle beghe di palazzo, avete letto la notizia? L’Italia è il paese che ha effettuato il maggior numero di vaccini in Europa. Non ci credete? Allora lo ripeto…. L’Italia è il paese che ha effettuato il maggior numero di vaccini in Europa!! Possiamo dire che è un grande successo per tutto il nostro paese? Possiamo dire che, nonostante errori assolutamente umani (come il fatto che in alcune regioni, tra cui la Toscana, sono arrivate alcune forniture di siringhe sbagliate), ancora una volta la nostra Italia dimostra che in momenti di emergenza e di crisi dà il meglio di sé stessa? Io non so di chi sia il merito, e sinceramente non me ne frega nemmeno un granché (anche se la mia idea ce l’ho), ma perché invece di festeggiare questa notizia si continua sempre a parlare d’altro?

Ah già, perché abbiamo una classe politica che in mezzo alla campagna vaccinale più importante della storia ed alla pandemia mondiale, pensa agli affari propri. Abbiamo un partito guidato da una persona che aveva conquistato il paese con l’obiettivo di rottamare tutto e tutti, di cambiare la costituzione, di smontare la concertazione con sindacati e non solo, ma soprattutto di evitare il potere di ricatto dei partitini che sapete cosa sta combinando? Sta facendo esattamente il contrario di ciò che aveva promesso: dimenticavo….lui e la sua fida scudiera erano anche quelli che avevano promesso di lasciare la politica dopo il referendum perso il 4 dicembre 2016….allora vale tutto! Tra ministre che minacciano dimissioni che non arrivano mai, redde rationem sempre rinviati, richieste continue che spostano l’asticella sempre più in su, intanto si sta bloccando il paese ed il governo in momenti cruciali.

Dall’altra parte abbiamo un governo ed un Presidente del Consiglio che cerca la via d’uscita: prima il rimpasto no, poi ni, poi forse. La delega sui Servizi la tengo, poi si guarda, infine certo che la lascio, cosa avevate capito? Conte ter, rimpasto, passaggio al Senato e chi più ne ha più ne metta. Al netto delle dispute politiche, dei comunicati stampa, delle dirette su Facebook, dei penultimatum quasi quotidiani, io mi sono scocciato di questa tarantella e voi? I problemi delle persone sono altri, non l’apporto di alcune forze di maggioranza al governo! Questa manovra certamente rimette qualcuno ormai dimenticato al centro della scena, ma il problema è che quel posto dovrebbe essere occupato dai problemi dei cittadini, dei lavoratori, delle persone deboli della società. Quelle stesse persone che sono state travolte da una pandemia che ha sconvolto milioni di famiglie!! Questa è la priorità!!

Altro fatto successo che trovo sinceramente indecoroso è il balletto a cui abbiamo assistito sul rientro a scuola dei ragazzi delle scuole superiori. C’era chi aveva giurato che tutti sarebbero rientrati, con percentuali tra il 50 ed il 75 per cento, il 7 gennaio. Poi i dati del Comitato Tecnico Scientifico hanno consigliato di aspettare qualche giorno: ed allora via con il tutti contro tutti….finché qualcuno si è accorto che tra rientrare il 7 e rientrare l’11 ballavano solamente due o tre giorni di scuola ed allora è stata trovata, almeno per ora, la quadra. Nel frattempo però, i problemi sono sempre tutti sul campo:  lo scaglionamento degli orari delle città, il rafforzamento del trasporto pubblico, la disponibilità da parte di tutti di fare sacrifici (qualcuno prima o poi mi dirà perché le ore di scuola non possono essere scaglionate tra mattino e pomeriggio!!).

Per tornare però a quel tanto di bello che questo meraviglioso paese riesce ad esprimere, vi voglio nuovamente augurare buon anno con il mio solito consiglio che stavolta è rivolto ad una canzone che è uscita proprio il 1 gennaio 2021, “Una canzone d’amore buttata via” di Vasco Rossi. Non esiste un miglior augurio che ascoltare questa canzone (vi ho messo il link con il testo in modo che possiate leggere le parole): una canzone che parla di amore e di speranza, due sentimenti veri ed onesti che non potranno mancare in questo 2021 pieno di problemi da affrontare e superare come comunità. La canzone provoca già così forti emozioni; mi vengono i brividi al solo pensare di poter tornare a cantarla a squarciagola in uno stadio, insieme ai miei amici, ai miei affetti più cari:

perché prima o poi quel biglietto di Vasco che ho ancora in tasca lo userò….

e sarà bellissimo sentirsi di nuovo vivi!!!

Il talento – parte settima

Lo scatto culturale che il calcio riesce a fare verso la metà degli anni Novanta inizia ad aprire scenari sorprendenti. Fino ad allora infatti, lo sport più popolare del paese veniva visto dal mondo della scuola come il Diavolo in persona: i calciatori erano infatti l’archetipo dello sportivo strapagato e viziato, il calcio era solo quello delle simulazioni, delle risse allo stadio, dell’agonismo esasperato. Non si riusciva insomma a scindere il calcio della TV da quello delle piccole società di quartiere che facevano e fanno ancora tutt’oggi innanzitutto un’opera sociale.

In quegli anni però, parallelamente al cambiamento all’interno delle scuole calcio con la rivoluzione regolamentare di cui abbiamo parlato nelle precedenti puntate del nostro viaggio, cresce impetuosamente anche l’altra gamba del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC. La sezione del settore che si occupa dell’attività all’interno delle scuole calcio si chiama infatti Attività di Base, ma accanto ad essa esiste anche una branca fino a quel momento di nicchia, chiamata Attività Scolastica. Il Settore Giovanile e Scolastico si poggia dunque sull’attività che viene svolta nelle società affiliate alla FIGC, ma anche su quella che i nostri bambini praticano, o dovrebbero praticare, all’interno degli istituti scolastici. Purtroppo in Italia la figura del professore di educazione fisica non è riconosciuta per le scuole dei più piccoli e dunque si viene a creare un grandissimo buco formativo proprio negli anni in cui i bambini sono più recettivi anche dal punto di vista psicomotorio. Grazie ad un Protocollo di Intesa firmato nei primissimi anni 90 si aprirono però le porte della scuola alle federazioni sportive ed agli enti promozionali che accolsero l’opportunità con grandissimo entusiasmo. In base a tale protocollo infatti, veniva deciso che le federazioni e le società ad esse affiliate potevano entrare nelle scuole per affiancare gli insegnanti in modo da aiutarli nello svolgimento dell’attività motoria. Chiaramente, ogni federazione si dovette dotare di una propria offerta formativa che vincolasse anche le proprie società ad un’attività motoria proposta in forma ludica che fosse propedeutica a quel determinato sport. Per fare un esempio, l’istruttore di una scuola calcio non poteva entrare in una classe per far disputare partite, magari escludendo le bambine, oppure per far eseguire solo esercizi di tecnica individuale. La base era chiara:

SPORT PER TUTTI, IN FORMA LUDICA!

La FIGC, grazie anche ad investimenti importanti, fu tra le prime federazioni ad intravedere l’opportunità e dunque presentò uno dei progetti più all’avanguardia e fu tra le poche che, oltre all’offerta formativa per le proprie società, mise a disposizione delle scuole anche dei corsi di aggiornamento per gli stessi insegnanti. Lo scoglio da superare fu però duro: proprio per come era valutato il calcio nel mondo della scuola, inizialmente furono pochissime le adesioni per i corsi di aggiornamento, ma quando si sparse la voce che il progetto era veramente di uno sport di base che coinvolgesse tutti, compreso i bambini disabili, i numeri iniziarono ad aumentare.

Qualcuno potrebbe chiedere cosa c’entri tutto questo con il talento. Beh, la risposta è semplice: il talento, qualunque esso sia, deve essere scovato, ma soprattutto deve essere seguito, accudito ed allenato. In Italia abbiamo un grandissimo deficit rispetto a tanti altri paesi europei poiché mancano le strutture per fare sport e purtroppo sembra essere un ritardo irrecuperabile. L’altro grandissimo scarto proviene invece dalla mancanza di operatori sportivi negli anni più fecondi dello sviluppo psicomotorio dei bambini. Questa collaborazione tra federazioni, enti di promozione, società sportive e scuole può però aiutare a colmare, almeno in parte, questo gap culturale che soffriamo nei confronti di Francia, Germania, Inghilterra. Dobbiamo inoltre ricordare che non tutti i bambini hanno la possibilità di fare attività sportiva nelle società (dunque a pagamento): crediamo che anche quei bambini abbiano diritto al benessere fisico oppure no? Crediamo che si possa scovare qualche talento anche tra quei piccoli che non andranno mai in una società oppure no? Ed inoltre pensiamo un attimo alla ricchezza culturale donata dai docenti federali al corpo insegnante: tantissime maestre provengono infatti da scuole in cui l’attività fisica e motoria non è certo al centro della didattica. Molte poi hanno magari fatto l’ultima ora di ginnastica un quarto di secolo fa; cosa vogliamo pretendere da queste insegnanti che, non per colpa loro, non sono state messe nelle condizioni di aiutare i bambini? I corsi di formazione ed aggiornamento servono appunto a questo, ad insegnare un metodo di lavoro (quasi esclusivamente induttivo) per proporre uno sport che sia inclusivo e divertente. La FIGC all’epoca fu la prima ad avere un’offerta formativa in cui gran parte dei giochi proposti al gruppo classe avevano la variante per i bambini disabili: pensate alla forza culturale di una proposta come questa!!! Una rivoluzione per quei tempi!!!

Negli ultimi anni purtroppo la forza propulsiva dell’attività scolastica in FIGC sembra essersi esaurita. Speriamo che torni presto a spirare il vento alle spalle di questo settore così centrale ed importante non solo per le società sportive o per le scuole, ma per tutta la nostra comunità!

Terminato il viaggio nello sport a scuola, con la prossima tappa si torna a viaggiare dentro le scuole calcio!

Diario di un cassintegrato (parte quinta)

Altro giro, altra corsa! Altra settimana, altre esperienze!

Dopo che ci eravamo lasciati al termine della prima settimana senza aver lavorato ma nella speranza di una Toscana nuovamente arancione, ci ritroviamo con alcune certezze ed altri dubbi. Mentre per ciò che concerne la colorazione della nostra regione non abbiamo ancora la risposta definitiva, dal punto di vista lavorativo sono ormai entrato nella routine di turnazione tra colleghi e dunque, dopo la scorsa settimana passata senza lavorare, questa è stata contrassegnata dall’alternanza tra due giorni di lavoro e tre di cassa integrazione. Tutto sommato stavolta la cosa mi ha fatto quasi comodo visto che, come ricorderete, i miei due figli hanno dovuto sottostare al provvedimento di quarantena e dunque essere a casa mi ha permesso di seguirli senza gravare su mia moglie che invece continua fortunatamente a lavorare.

La quarantena però, dopo due lunghissime settimane è finalmente finita e dunque siamo tornati a scuola! E’ stata una vera e propria liberazione: dopo la chiusura dovuta al lockdown di tutti gli istituti fin dal mese di marzo, i bambini erano riusciti finalmente a ritrovare un equilibrio mentale, psicologico e fisico nel ciclo vitale tra la scuola, lo sport, i compiti, gli amici, i giardini. Dapprima è venuto a mancare lo sport, valvola di sfogo fondamentale che è stato chiuso in concomitanza con la proclamazione della Toscana quale zona rossa, e poi la scuola con la quarantena. I bambini sono dunque rimasti senza ciò che di più caro hanno: la socialità, gli amici, le relazioni, le emozioni! Poter tornare a scuola serenamente è stata una vittoria fantastica che ci riconsegna una sorta di normalità non si sa quanto precaria e temporanea. Le due settimane chiusi in casa hanno rappresentato un banco di prova importante per i bambini e per noi genitori, ma fortunatamente il grande legame esistente tra i due fratelli ci ha permesso di venirne fuori senza ulteriori traumi.

Non è stata però una settimana dedicata solamente a fare da maggiordomo ai figlioli (come dice il mio amico Leo) ma anche a pensare: nelle mie lunghe camminate o nelle mie più brevi corse, il cervello viaggia sempre ed allora mi sono convinto che sia arrivato il momento di reinventarsi perché davvero più niente sarà come prima. Sul lavoro ad esempio, sarà necessario guardare agli obiettivi da raggiungere con occhi nuovi e diversi. Non si può pensare, come invece ancora accade, di utilizzare i metodi lavorativi o i mezzi tecnologici anche solamente di cinque anni fa: dobbiamo usare i nuovi media per lavorare meglio e, perché no, lavorare meno!! La tecnologia a nostra disposizione ormai, ci permette di fare tantissime cose impiegando metà del tempo che serviva prima. Smettiamo però di pensare che quel tempo risparmiato debba essere occupato necessariamente da altri impegni o da altri obiettivi da raggiungere:

il tempo risparmiato dedichiamolo a noi stessi, a chi ci vuole bene, ai nostri interessi!!

In questi giorni ad esempio,  siamo tutti a fare polemica in merito al cenone di Natale o ai festeggiamenti dell’ultimo dell’anno. La verità è che la stragrande maggioranza delle persone che incontriamo in queste occasioni, le vediamo SOLAMENTE per le feste comandate!! Probabilmente è perché non ci interessa frequentarle più assiduamente, ma quante altre persone invece vorremmo  vedere più spesso? Ed allora, perché non utilizzare le nuove tecnologie per inventare nuovi metodi di lavoro che liberino il tempo da dedicare a noi stessi? Ecco, questo potrebbe essere uno dei migliori propositi per il 2021 e per gli anni a venire: ricostruire una società intorno alle persone anziché intorno al profitto!!

Voglio però dedicare le ultime righe di questo articolo ad una delle persone che mi ha maggiormente emozionato in campo sportivo nella mia vita. In questo maledetto 2020 se n’è andato anche Diego Armando Maradona, ed allora senza fare troppi giri di parole, vi invito a vedere l’intervista che Andrea Scanzi ha fatto il giorno della morte ad uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani, nonché amico di Diego, Marino Bartoletti. Poiché ogni settimana vi consiglio qualcosa, stavolta tocca a questa chiacchierata in cui l’interlocutore può parlare senza essere continuamente interrotto e, soprattutto, parla di cose vissute in prima persona con affetto, amicizia, ma anche con quel briciolo di amarezza che la morte di Diego ha lasciato a tutti. Ecco il link https://www.youtube.com/watch?v=CinPFjYwoig

Alla prossima puntata!

Il topolino

Dopo 48 ore di indiscrezioni che paventavano un’infinità di divieti, la montagna ha partorito il topolino ed il nuovo DPCM licenziato dal Governo Conte assomiglia molto ad un pannicello caldo.

Dagli spifferi che provenivano dai corridoi di Palazzo Chigi, sembrava che la parola “vietato” fosse la più ricorrente del decreto, mentre poi in realtà quel termine è stato quasi sempre sostituito da ”si raccomanda”. Sorvolerò sulle pretestuose polemiche che in questi giorni, a seguito della partecipazione ad una trasmissione televisiva, hanno cercato di colpire mediaticamente il Ministro Speranza di cui invito ad ascoltare le parole senza farsele riportare da altri.

Entrando nel merito del nuovo Decreto, approfondirò due aspetti che credo siano centrali per la vita di ogni paese che creda nel benessere dei propri cittadini e nel futuro delle nuove generazioni. Ho trovato sinceramente vergognosa la proposta relativa al ritorno della didattica a distanza per le ultime classi delle scuole superiori, proposta giustificata dai continui assembramenti che si vengono a creare sui mezzi del trasporto pubblico. L’idea che le Regioni hanno portato al governo è sbagliata sia dal punto di vista filosofico che pratico. I ragazzi che frequentano gli ultimi anni delle scuole superiori sono infatti spesso provvisti di mezzi privati quali scooter, moto o macchine e dunque impattano sul trasporto pubblico molto meno dei ragazzi dei primi anni della scuola superiore o di quelli che frequentano le scuole medie. Oltre a ciò, dobbiamo ricordare che la scuola è la palestra di vita più importante che abbiamo e non possiamo e non dobbiamo fermarla nuovamente. Solo chi ha bambini e ragazzi che provano quotidianamente le esperienze scolastiche, sociali e culturali, può capire quanto dannosa sia tale proposta? Penso e spero proprio di no! La sospensione prima e la cancellazione poi delle lezioni da marzo a giugno è stato un vero e proprio trauma per tutti i bambini e ragazzi del nostro paese che sono rimasti indietro non solo didatticamente, ma soprattutto socialmente. Che razza di proposta è quella che taglia le esperienze sociali, culturali e didattiche a fronte di problemi di trasporto? Anziché tenere i ragazzi a casa, investiamo nel trasporto pubblico!!! Ci vuole tanto a capirlo?? Eppoi…. che fine hanno fatto gli ingressi ad orari scaglionati? Soprattutto nelle scuole medie e superiori, dove ormai i ragazzi vanno o possono andare autonomamente a scuola non sarebbe preferibile scaglionare gli ingressi anziché tenerli a casa? Ancora non si riesce a comprendere che la scuola è un investimento per il futuro e non un costo nel presente?

Finché non usciamo da questa dialettica in cui tutto viene prima della scuola e dell’educazione dei nostri figli non avremo mai nuove generazioni con teste pensanti  ed autonome!

Se la polemica sulla scuola è stata incresciosa, trovo poi addirittura peggiore quella sullo sport. Innanzitutto credo che sarebbe necessario conoscere ciò di cui si parla prima di aprire la bocca a casaccio. Nel nuovo decreto sono stati bloccati diversi sport facendo una netta distinzione tra le pratiche amatoriali e quelle riconosciute da Federazioni Sportive ed Enti di Promozione. Molti si sono soffermati ed hanno fatto ironia sulla distinzione che è stata introdotta tra il calcetto, il calcio ed il basket tra amici e quello invece regolato ed organizzato dagli enti federali riconosciuti dal CONI. Conoscendo bene il settore, credo che il decreto abbia reso giustizia agli sforzi enormi che le piccole società e realtà del territorio nazionale hanno messo in campo per far ripartire l’attività giovanile e dilettantistica che praticano i nostri ragazzi. Considerando l’atavica mancanza di strutture sportive all’interno delle scuole (vedi i casi frequenti di plessi senza palestra), se chiudiamo anche gli impianti delle società sportive i nostri ragazzi dove dovrebbero andare a fare sport? Chiaramente l’attività deve essere svolta in sicurezza, ma le federazioni hanno adottato già dalla scorsa estate Protocolli dettagliati in accordo con il Comitato Tecnico Scientifico e con il Ministero per riaprire gli ambienti in sicurezza. Ogni società sportiva già dal mese di agosto deve misurare la febbre agli atleti ed agli accompagnatori, deve avere accessi separati, deve far rispettare il distanziamento e l’uso della mascherina! Lo sport amatoriale, quello per intendersi del calcetto tra amici del giovedì non prevede tutto questo! Mentre viene previsto nei campionati organizzati da Enti di promozione sportiva che hanno sottoscritto ed applicato tale protocollo. Si può andare al cinema o a teatro in posti chiusi perché si segue un protocollo e, con le stesse norme, non si può fare attività fisica all’aperto? Quindi oltre a far fare ai ragazzi la didattica a distanza, togliamo loro anche la valvola di sfogo dello sport? Senza poi considerare che le società sportive svolgono anche quel fondamentale ruolo di presidio sul territorio che prima era invece interpretato dagli oratori, dai gruppi sportivi scolastici o da altre forme di aggregazione.

La verità è che il DPCM contiene tantissime raccomandazioni e ben pochi divieti alcuni dei quali trovo giustissimi (ad esempio l’impossibilità di sostare in piedi davanti ai locali!!). Ciò che ancora troppo spesso manca però, è l’irrogazione della sanzione: se metti le regole ma poi non punisci purtroppo l’effetto della sola dissuasione non funziona. Ancora una volta dunque molto, se non tutto, dipenderà dal buonsenso e dalla responsabilità di ciascuno di noi. Cerchiamo di non fallire, altrimenti un nuovo lockdown potrebbe non essere così lontano.

I bambini di nuovo a scuola!

Dopo più di 6 mesi di attesa, la campanella è tornata a suonare in Toscana!

Da quel maledetto mese di Marzo, in Italia sono successe tante cose: il lockdown con la chiusura delle scuole, la polemica sulle riaperture (ve li ricordate Renzi e Salvini che a fine aprile volevano già riaprire tutto senza considerare minimamente la complessità del problema che solamente adesso viene presa in considerazione?), la polemica sulla didattica a distanza, poi quella sui banchi con le rotelle, successivamente sui bambini chiusi nel plexiglass, quella sulle cattedre vuote il primo giorno di scuola (perché negli ultimi 15 anni sono mai state piene?) e chi più ne più ne metta!!

Posto che i problemi della scuola non nascono certo da oggi, mi sembra che purtroppo anche la crescita dei nostri bambini sia diventata solamente un’arma elettorale con cui cercare di fare polemica senza dare nessun tipo di soluzione ai problemi reali. Basti pensare che dai primi anni novanta in poi (do you remember D’Onofrio?) la scuola di ogni ordine e grado è sempre stata considerata un costo e mai un investimento ed in questo paese al governo sono passati tutti i partiti dell’arco costituzionale negli ultimi 30 anni. E la strada maestra è sempre stata la stessa: tagliare la scuola, l’università, la ricerca e la sanità perché i livelli di spesa non erano sostenibili…. e via con la riforma Gelmini, con il taglio dei trasferimenti alle regioni operato da centrodestra e centrosinistra, con le classi pollaio benedette da tutti, con l’accorpamento di più scuole in plessi sempre più grandi, con la chiusura degli istituti nei paesi più sperduti. In un paese in cui negli ultimi 30 anni si è ragionato così, era possibile affrontare la riapertura post pandemia senza scontare la miopia di queste scelte?

Il tiro al piccione verso il Ministro Azzolina lo trovo giustificabile solo in  parte poiché alcune decisioni sono state certamente prese in netto ritardo, ma non si può pensare di risolvere tutti i  problemi generati dalle errate riforme e dai tagli effettuati negli ultimi decenni in un’estate di pandemia. La speranza è che questa catastrofe abbia finalmente fatto aprire agli occhi non solo alla classe dirigente ma anche a noi che votiamo: dobbiamo chiedere, anzi pretendere, che sul futuro dei nostri figli e sulla salute di noi cittadini si smetta di risparmiare o di fare scelte che mirano solamente a fare cassa. Si deve assolutamente ripartire, grazie anche ai soldi che arriveranno dal Recovery Fund europeo, dagli investimenti nella scuola, nella ricerca, nella sanità, per disegnare un futuro che non guardi sempre e solo al profitto come unico paradigma della nostra società.

Ecco dunque il primo giorno, ed ecco ritornare quell’emozione quasi dimenticata dell’accompagnarli a scuola: dopo settimane di messaggi sulla chat di classe, di problemi raccontati come irrisolvibili, di fogli da riempire, di fotocopie da portare, gli studenti ci hanno dato la lezione più importante: quella della serenità. Contenti, gioiosi, curiosi di tornare sui banchi in mezzo ai loro amici indipendentemente dalle mascherine, dagli accessi separati, dalle merende portate da casa, dal distanziamento tra i banchi. Troppe volte ci dimentichiamo che l’uomo è un essere abitudinario che si sa adattare a tutte le situazioni ed i bambini hanno spirito di adattamento ancora maggiore perché innocenti e senza sovrastrutture o pregiudizi. A ciò ha contribuito anche l’organizzazione perfetta per l’accesso sia alla scuola primaria che alla scuola materna, accesso che è avvenuto in modo ordinato e compassato. Insomma, l’immagine dell’Italia migliore, del paese che vorremmo sempre vedere, di istituzioni che funzionano. E pazienza se troppe volte tante persone parlano a casaccio dell’organizzazione e dei lavoratori italiani: questa è una risposta talmente forte da non ammettere repliche.

Un discorso a parte meritano invece gli insegnanti: architravi fondamentali della società presente e futura, hanno in mano il bene più prezioso che c’è, il futuro del nostro paese, il pennarello con cui disegnare il domani della nostra società. Ho visto personalmente l’impegno massimale profuso nella didattica a distanza nella gran parte del gruppo docente (anche se purtroppo non in tutto), ma sinceramente la polemica sui lavoratori fragili non fa onore ad una classe di lavoratori tra le più tutelate in termine di contratto di lavoro. Seppur sottopagate rispetto a gran parte dei colleghi europei, non dobbiamo dimenticare tutti i diritti che i lavoratori statali hanno rispetto ai dipendenti privati. Ma questo è un discorso che ci porterebbe fuori dal seminato. Resta da ricordare che la scuola viene fondamentalmente rappresentata dalla maestra e non viceversa: le strutture fatiscenti, la mancanza di materiale didattico, la scarsa collaborazione da parte del Dirigente Scolastico o da parte dei genitori possono rappresentare un ostacolo, ma non riusciranno mai a bloccare la forza di quella bacchetta magica che la brava maestra sa utilizzare per rapportarsi con i nostri bambini riuscendo a farli crescere grazie a regole condivise con una inflessibile serenità.

Sta agli insegnanti indicare la strada, sta a noi genitori accompagnare i bambini aiutandoli a superare problemi e gli ostacoli che si troveranno di fronte.

Manuale di integrazione

“Adesso come facciamo a farli socializzare?” Quante volte abbiamo sentito questa domanda!

Quando sono stato la prima volta a Londra, nel 1995, ricordo che il mix di culture, colori, odori, look, pettinature, mi colpì profondamente. Mi colpì ancor più del Tower Bridge, del museo delle cere, del cambio della guardia a Buckingham Palace, di Harrod’s, dello stadio di Highbury. Dopo aver provato con mano la forza e la bellezza della mescolanza tra culture diverse, promisi a me stesso che mi sarei impegnato a trasmettere messaggi di integrazione con gesti, parole ed azioni.

Negli anni universitari poi, ho avuto la fortuna ed il privilegio di lavorare, su incarico della FIGC, nelle scuole materne e primarie di Firenze facendo l’insegnante di attività motoria. Mi è capitato spesso di svolgere la mia attività nelle scuole di confine, dei quartieri meno agiati della città come Brozzi o Peretola. Zone difficili in cui quella stessa combinazione di più culture, idiomi e sistemi di vita, rischia di essere un limite anziché una straordinaria ricchezza.

Perché dico tutto questo?

Una delle prime scuole in cui ho lavorato, mi aveva affidato, tra le altre, una classe di 24 bambini il cui gruppo era molto disomogeneo poiché era composto da 15 bambini italiani, 6 bambini cinesi e 3 bambini del Nord-Africa. Se non bastasse la difficoltà ad approcciarmi ad una nuova classe ed a farlo come insegnante di attività motoria (dunque visto solamente come il ragazzo che viene a farci giocare a pallone), la comunicazione tra me ed il gruppo classe e quella tra bambini era particolarmente complicata. Dei 6 bambini cinesi ad esempio, 2 erano già integrati, mentre 4 non parlavano italiano anche se capivano qualcosa e lo stesso problema era riscontrabile con i bambini marocchini e tunisini.

Ricordo ancora che l’inizio della prima lezione fu la più faticosa della mia vita. I primi 20 minuti li passai in cerchio provando a presentarmi, a far capire loro quello che avrei voluto fare insieme, tentando di comprendere i loro nomi. Sudavo perché mi rendevo conto che la classe non era coesa e non riuscivo ad avere la loro attenzione. I bambini iniziavano a spazientirsi, a dividersi in gruppetti e soprattutto stavo completamente perdendo coloro che non conoscevano la nostra lingua. Mentre parlavo avevo una palla in mano e, in segno di nervosismo, iniziai a palleggiarla a terra.

EUREKA!

Tutti i bambini iniziarono a seguire la palla ed io capii immediatamente di aver trovato la chiave. Per di più, anche chi non parlava la nostra lingua ebbe la stessa reazione! Iniziai a proporre, con il solo esempio e senza tante parole, giochi con la palla dividendo la classe in gruppi più piccoli mescolando nazionalità, idiomi, culture. Cinesi, marocchini, italiani tutti dietro ad una palla, lo strumento di integrazione, di comunicazione e socializzazione che mi aprì i cuori dei bambini e formò un vero gruppo classe.

A volte ho sentito persone chiedersi perché la palla sia tonda…..io credo di saperlo: la rotondità non ha spigoli, non fa male, rotola con tutti e su tutti. E’ il simbolo di fratellanza per antonomasia, è il simbolo della terra su cui viviamo, è il simbolo della perfezione.

“Come spiegherei ad un bambino la felicità? Gli darei un pallone per farlo giocare” (Eduardo Galeano)