Manuale di integrazione

“Adesso come facciamo a farli socializzare?” Quante volte abbiamo sentito questa domanda!

Quando sono stato la prima volta a Londra, nel 1995, ricordo che il mix di culture, colori, odori, look, pettinature, mi colpì profondamente. Mi colpì ancor più del Tower Bridge, del museo delle cere, del cambio della guardia a Buckingham Palace, di Harrod’s, dello stadio di Highbury. Dopo aver provato con mano la forza e la bellezza della mescolanza tra culture diverse, promisi a me stesso che mi sarei impegnato a trasmettere messaggi di integrazione con gesti, parole ed azioni.

Negli anni universitari poi, ho avuto la fortuna ed il privilegio di lavorare, su incarico della FIGC, nelle scuole materne e primarie di Firenze facendo l’insegnante di attività motoria. Mi è capitato spesso di svolgere la mia attività nelle scuole di confine, dei quartieri meno agiati della città come Brozzi o Peretola. Zone difficili in cui quella stessa combinazione di più culture, idiomi e sistemi di vita, rischia di essere un limite anziché una straordinaria ricchezza.

Perché dico tutto questo?

Una delle prime scuole in cui ho lavorato, mi aveva affidato, tra le altre, una classe di 24 bambini il cui gruppo era molto disomogeneo poiché era composto da 15 bambini italiani, 6 bambini cinesi e 3 bambini del Nord-Africa. Se non bastasse la difficoltà ad approcciarmi ad una nuova classe ed a farlo come insegnante di attività motoria (dunque visto solamente come il ragazzo che viene a farci giocare a pallone), la comunicazione tra me ed il gruppo classe e quella tra bambini era particolarmente complicata. Dei 6 bambini cinesi ad esempio, 2 erano già integrati, mentre 4 non parlavano italiano anche se capivano qualcosa e lo stesso problema era riscontrabile con i bambini marocchini e tunisini.

Ricordo ancora che l’inizio della prima lezione fu la più faticosa della mia vita. I primi 20 minuti li passai in cerchio provando a presentarmi, a far capire loro quello che avrei voluto fare insieme, tentando di comprendere i loro nomi. Sudavo perché mi rendevo conto che la classe non era coesa e non riuscivo ad avere la loro attenzione. I bambini iniziavano a spazientirsi, a dividersi in gruppetti e soprattutto stavo completamente perdendo coloro che non conoscevano la nostra lingua. Mentre parlavo avevo una palla in mano e, in segno di nervosismo, iniziai a palleggiarla a terra.

EUREKA!

Tutti i bambini iniziarono a seguire la palla ed io capii immediatamente di aver trovato la chiave. Per di più, anche chi non parlava la nostra lingua ebbe la stessa reazione! Iniziai a proporre, con il solo esempio e senza tante parole, giochi con la palla dividendo la classe in gruppi più piccoli mescolando nazionalità, idiomi, culture. Cinesi, marocchini, italiani tutti dietro ad una palla, lo strumento di integrazione, di comunicazione e socializzazione che mi aprì i cuori dei bambini e formò un vero gruppo classe.

A volte ho sentito persone chiedersi perché la palla sia tonda…..io credo di saperlo: la rotondità non ha spigoli, non fa male, rotola con tutti e su tutti. E’ il simbolo di fratellanza per antonomasia, è il simbolo della terra su cui viviamo, è il simbolo della perfezione.

“Come spiegherei ad un bambino la felicità? Gli darei un pallone per farlo giocare” (Eduardo Galeano)

Un pensiero su “Manuale di integrazione

  1. […] La scorsa volta abbiamo detto della facilità con cui si costruisce un campo e si può giocare in ogni condizione (4 giubbotti ed un pallone ed inizia la magia!) ma pensate anche alle caratteristiche fisiche del bambino che gioca a palla o pratica sport: nel basket e nella pallavolo ad esempio, saranno certamente avvantaggiati, almeno inizialmente, i bambini più alti! Nell’atletica leggera, è quasi scontato che i bambini più veloci e slanciati avranno più possibilità di primeggiare visto che si tratta sostanzialmente di uno sport individuale; altri sport come lo sci, l’equitazione o il tennis invece, hanno bisogno di un esborso economico che non tutte le famiglie si possono permettere! Il calcio al contrario, si gioca con una squadra di 5, 7, 9 o 11 calciatori e dunque le gioie ed i dolori si possono condividere con gli altri. Inoltre, è più facile trovare un posto per tutti: dal bambino più alto a quello più basso, dal bambino più atletico a quello un po’ più appesantito, tutti possono avere un ruolo importante all’interno della squadra! Quante volte abbiamo sentito dire che il più piccolino viene impiegato sull’ esterno del campo perché è rapido e sgusciante, oppure che il bambino un po’ più in carne viene posizionato in mezzo al campo perché alcuni compagni possono correre anche per lui ma, essendo dotato di un bel lancio o di un bel tiro in porta può comunque togliersi tante soddisfazioni: in questo modo, quello che in altri sport può essere considerato un handicap, nel calcio diviene solamente una delle componenti della squadra! Non dimentichiamoci poi che, proprio perché il calcio non è così dispendioso economicamente, è spesso stato un fantastico veicolo di integrazione. […]

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