Corner Viola – Spezia Fiorentina: il cambio modulo arma vincente? – 79 puntata

Nelle ultime settimane, con il Pappagallone Reale Flavio Bardaro, autore di questo pezzo, è purtroppo sempre più difficile trovare il tempo per fare il video, ma il cambio modulo della Fiorentina ci sembrava una tematica troppo importante per non parlarne in modo approfondito. Ecco allora una riflessione sulla gara di Spezia e sulle novità tattiche dei ragazzi di Vincenzo Italiano.

La Fiorentina centra la prima vittoria esterna in campionato grazie ai guantoni di Terracciano, più volte decisivo, e alla rete, la seconda in campionato, di Arthur Cabral. Il primo tempo è stato contraddistinto dalla grande sofferenza, con la pressione alta dello Spezia a soffocare la manovra Viola e i ragazzi di mister Italiano più volte in difficoltà nel contenere la squadra di Gotti.
La seconda frazione invece, complice anche il calo di ritmo dei bianconeri, ha visto la squadra di Italiano prendere in mano le redini del gioco, gestire i ritmi della gara, concedere poco, sfiorare più volte il vantaggio e ottenere al fotofinish tre punti pesantissimi con il subentrante Cabral.


La trasferta di Spezia, dopo la gara interna in Conference contro il Başakşehir, certifica il cambio di sistema di gioco adottato da mister Italiano, il quale schiera i suoi con un chiaro 4-2-3-1 sin dal calcio di inizio (come si può vedere dalla copertina). Se giovedì era toccato a Barak giocare a ridosso di Jovic, contro gli aquilotti Italiano si è affidato a Bonaventura per innescare la manovra offensiva Viola. Il cambio tattico di Italiano, in barba alle critiche piovutegli addosso negli ultimi mesi, denota grande elasticità da parte del mister, il quale, in una stagione piena zeppa di impegni e con pochi allenamenti a disposizione per preparare le gare, aveva solo bisogno di tempo per trovare una chiave tattica diversa per la sua Fiorentina. Purtroppo ciò che non può cambiare, almeno fino a gennaio, sono gli interpreti: la Viola, anche a Spezia, fatica tantissimo ad uscire in maniera fluida dalla difesa palla al piede, riducendo troppo spesso la transizione dalla fase difensiva alla fase offensiva al lancio lungo per la testa di Koumè o la spizzata di Jovic. Questo soprattutto perché manca un giocatore in mediana capace di andare a prendersi palla dalla difesa, dettare i ritmi del gioco, verticalizzare ed eludere la pressione alta avversaria. In poche parole un regista: senza voler per forza ripetersi, ciò che faceva molto spesso e bene Torreira lo scorso anno e che sta mancando tremendamente in questa stagione. Oltretutto la coppia Amrabat Mandragora a Spezia, in particolare nella prima frazione di gioco, ha mostrato carenze anche in fase di filtro, con i bianconeri che hanno sfondato più volte il muro gigliato. Con questo modulo, chi soffre della mancanza di un regista è in primis il trequarti, nel caso specifico Bonaventura, il quale, senza rifornimenti in verticale, non può ricevere palla fra le linee avversarie ed innescare gli esterni o la punta. Vero anche che nella gara del Picco lo stesso Bonaventura, quando ha ricevuto palla, è apparso sempre sotto ritmo e poco lucido nella giocata, perdendo spesso il duello personale con il diretto avversario. Chi segue il Corner Viola conosce la stima che proviamo per Jack, ma, con altrettanta obiettività, saprà che noi stessi, già dalla fine della passata stagione, avevamo lanciato il campanello di allarme su un giocatore che si sarebbe avviato verso i 34 anni e che avrebbe avuto difficoltà nel gestire il doppio impegno. Infatti la stagione di Bonaventura, fino ad oggi, è nettamente al di sotto delle aspettative, con il gioco della squadra che ha inevitabilmente risentito della flessione del suo giocatore di maggiore qualità a centrocampo. Che possa essere il “nuovo” ruolo a rivitalizzare il nostro Bonaventura? Speriamo. Anche perché, al momento, le alternative latitano. Lo stesso Barak può ricoprire quel ruolo, ma, anche contro i turchi, è sembrato ancora lontano parente di quello ammirato nelle ultime tre stagioni di serie A. L’opzione Jovic dietro Cabral è la più suggestiva, ma allo stesso tempo anche la meno percorribile, poiché, in una squadra che già concede molto come quella Viola, gli equilibri tattici sono fondamentali e, schierare la doppia punta da inizio gara, potrebbe aprire praterie pericolose per i contropiedi avversari. Più facile a gara in corso, soprattutto se la partita richiede uno sforzo maggiore in attacco per essere recuperata o vinta. In questo Italiano sicuramente deve crescere e mostrare più coraggio, perché, anche contro lo Spezia, nonostante un punto servisse a poco per la classifica, invece di forzare il match con il doppio attaccante, ha preferito togliere Jovic per inserire Cabral. Fortunatamente il risultato gli ha dato ragione al novantesimo, ma quanta fatica!

Tornando al cambio tattico improntato da mister Italiano, anche contro i ragazzi di Gotti, in fase difensiva abbiamo notato una squadra con un baricentro leggermente più basso, che non è andata a prendere lo Spezia nella sua area di rigore, ma che alzava la pressione sul portatore palla dalla trequarti in poi, con il trequartista (Bonaventura) a schermare il vertice basso avversario (Bourabja) e i mediani che a turno si alzavano su Ekdal ed Agudelo. Questo meccanismo, nel primo tempo, non sempre ha funzionato, con lo Spezia che troppe volte si è reso pericoloso nell’area di Terracciano (complice anche la giornata no di Milenkovic e Dodó, spesso in difficoltà).
In fase offensiva invece, dopo aver già menzionato le difficoltà in regia, la Fiorentina ha cercato spesso la palla alta per Kouamè, con Bonaventura o Jovic che gli sfilavano dietro per sfruttare la spizzata e recuperare la seconda palla. Le cose migliori la Viola però le ha mostrare quando, palla a terra, è riuscita a coinvolgere Jovic, che, a sua volta, ha innescato in campo aperto la velocità di Ikonè. Da questo deve ripartire la Fiorentina, perché coinvolgere i giocatori di maggior qualità non può essere un’alternativa, ma la prima soluzione.

Ora non resta che vedere se la Viola nelle prossime gare confermerà i segnali incoraggianti visti nelle ultime due uscite e se saprà recuperare terreno in campionato, per una rimonta che avrebbe dell’incredibile, ma che servirebbe, quantomeno, per far divertire noi tifosi.

SEMPRE FORZA VIOLA!

L’evoluzione dei ruoli nel calcio

Nel calcio, come nella vita, ci sono i periodi storici ed il loro succedersi comporta cambiamenti tecnici, tattici, filosofici.

Se guardiamo anche solo agli ultimi 15 anni, siamo passati da un calcio fatto di ricerca di conquista di spazio in avanti, di verticalizzazioni veloci e di duelli individuali soprattutto sugli esterni, ad un calcio fatto da una fittissima rete di passaggi, spesso in orizzontale, che mirava a muovere le difese per trovare quegli spazi necessari ad andare verso la rete avversaria (il cosiddetto tiki-taka). Quest’ultimo presupponeva un’idea di calcio basata sullo spazio e sul possesso palla che veniva usato anche come metodo difensivo. Negli ultimi anni poi, anche per l’esasperazione di determinati concetti, si sta tornando verso la marcatura preventiva, l’aggressione in avanti, il recupero della palla nella metà campo avversaria per andare a verticalizzare velocemente, il lancio lungo sull’attaccante più fisico ed i centrocampisti che si buttano sulle seconde palle.

Ogni evoluzione del gioco ha comportato anche il cambiamento dell’interpretazione di determinati ruoli. Chi non ricorda la lotta ideologica tra il 4-4-2 che non prevedeva numeri 10 e gli amanti dei meravigliosi Zola e Roberto Baggio? Chi può dimenticare il Beppe Signori capocannoniere in Italia costretto a fare l’esterno sinistro del centrocampo a 4 nella nazionale di Arrigo Sacchi? E Gianfranco Zola quasi costretto ad emigrare da Parma perché l’allora integralista Carlo Ancelotti non lo “vedeva” nella sua disposizione tattica?

Una prima evoluzione diversa dalla trasformazione del trequartista in seconda punta, la mise in campo Carletto Mazzone a Brescia. Quando ebbe tra le mani uno dei talenti più cristallini del calcio italiano, Andrea Pirlo, non potendolo schierare dietro agli attaccanti sia perché avrebbe sbilanciato troppo la squadra, sia perché riteneva il calciatore acerbo fisicamente per sopportare la fisicità dei difensori avversari, lo mise davanti alla difesa. Nacque in quel modo uno dei migliori registi della storia del calcio italiano, un giocatore che riusciva a miscelare tecnica, senso tattico, qualità ma anche quantità. L’idea fu dunque quella di non mettere i piedi buoni solo a disposizione dell’attaccante, ma di tutta la squadra. Provare a giocare la palla fin dalla propria metà campo grazie a lanci millimetrici ed a cambi di fronte che avrebbero disorientato le difese avversarie. Da lì in poi, lo stesso esperimento ebbe risultati straordinari con Pizarro, ex Udinese, Roma e Fiorentina ed ancora oggi il centrale di centrocampo deve abbinare la qualità dei piedi buoni alla quantità delle doti atletiche.

Nelle ultime stagioni poi, soprattutto in Italia, è tornata in auge la difesa a tre: non più quella degli anni ottanta con il libero staccato dietro a due marcatori arcigni, ma una linea che si adatta ai movimenti degli attaccanti cercando di lavorare molto sulle linee di passaggio e sulle marcature preventive. Si cerca cioè di marcare gli attaccanti senza seguirli per tutto il campo, ma cercando di anticiparli per recuperare palla il più vicino possibile alla porta avversaria. La rinascita della difesa a 3, di cui abbiamo parlato diffusamente nell’approfondimento che trovate qui, ha comportato difficoltà per il ruolo degli attaccanti esterni. In quasi tutte le compagini che si schierano con questa impostazione difensiva, il centrocampo diventa a 5 con i due esterni che sono però a tutta fascia e non attaccanti! Ecco che in questo schieramento, questo tipo di calciatori sono impiegati solamente in quelle porzioni di gara in cui le squadre si dispongono con il 3-4-3 (quanto ci manca il calcio dell’Udinese di Zaccheroni!!!). Il problema che si pone è dunque come impiegare gli attaccanti esterni: alcuni di essi sono stati trasformati in seconde punte (vedi El Shaarawy), altri in esterni a tutta fascia (come Lazovic). L’evoluzione che però in questo momento trovo più interessante è quella che stanno cercando di percorrere due squadre invischiate nella lotta per la retrocessione, Torino e Crotone.

Quando vediamo attaccanti esterni che vengono impiegati come seconde punte, spesso si nota fin da subito la loro desuetudine a giocare in quella zona di campo: sia El Shaarawy, che Callejon a Firenze ad esempio, scoprono molto spesso la palla poiché non sono abituati a giocare spalle alla porta con il raddoppio sempre pronto. Cercano inoltre di giocarsi l’uno contro uno anche nelle zone centrali del campo dove perdere il pallone diventa pericolosissimo per un possibile contropiede avversario. Quanto a Lazovic invece, la trasformazione è avvenuta con maggior successo anche per l’organizzazione della squadra che aiuta tantissimo l’ex Genoa. Giocando con Faraoni da una parte e Lazovic dall’altra, si nota che la squadra accompagna in maniera diversa i due esterni sia in fase difensiva che offensiva arrivando anche a servirli con tempi e modi quasi opposti.  

Venendo al Torino di Nicola ed al Crotone di Cosmi, possiamo trovare due calciatori che hanno già consumato l’esperienza da seconda punta ed adesso hanno di nuovo cambiato “mestiere”. Simone Verdi e Junior Messias nascono entrambi attaccanti esterni seppur con caratteristiche diverse: il primo, bravissimo a calciare con entrambi i piedi, più adatto a tagliare verso il centro per concludere in porta, il secondo più bravo a saltare l’uomo per creare la superiorità numerica e servire l’assist. Entrambi i calciatori non sono certo dei bomber, ma il percorso che hanno fatto nelle ultime stagioni è piuttosto simile. Entrambi infatti, giocando in squadre che difendono a tre, sono stati trasformati in seconde punte che avrebbero dovuto servire assist e calciare da fuori ma, soprattutto nel caso di Verdi, non hanno sfondato. Colui che a Bologna era capace di fare rete nella stessa partita calciando una punizione con il destro ed una col sinistro, sembrava essere finito nel dimenticatoio, mentre Messias, al primo campionato in Serie A, alternava ottime prestazioni ad altre anonime.

Il cambio di panchina però, ha portato per entrambi nuova vita: Nicola e Cosmi avevano ed hanno bisogno di fare rete oltre che di conquistare punti. Ecco allora l’intuizione: Verdi e Messias posizionati nei tre centrali di centrocampo con accanto due centrocampisti di quantità (Rincon e Mandragora da una parte, Petriccione e Molina dall’altra), per una formazione più offensiva. Torino e Crotone da allora sono diventate più imprevedibili, segnano di più, divertono di più ed i rispettivi attaccanti, tra cui Simy e Sanabria, hanno ricominciato a segnare con un’ottima frequenza. Ma soprattutto hanno rispolverato due calciatori, e perché no forse una schiera di giocatori nati nel ruolo di attaccante esterno, che possono tornare a dire la loro. In un calcio in cui gli attaccanti ricevono palla quasi sempre spalle alla porta e gli esterni devono essere in grado di coprire tutta la fascia, la qualità tecnica deve trovare altre strade per poter creare la pennellata dell’assist o del gol. In questa nuova zona di campo, coperti da due scudieri a centrocampo e dai tre difensori centrali, possono probabilmente anche prendersi la libertà di giocarsi l’uno contro uno senza essere subito affogati dal raddoppio difensivo ed una volta saltato il diretto avversario, quasi sempre un centrocampista e non un arcigno marcatore, avere lo sguardo verso la porta per l’assist o la conclusione.

E’ certamente presto per dire se sia solamente una necessità del momento o una nuova tendenza, ma spesso le piccole rivoluzioni nascono in provincia, come abbiamo visto con Pirlo a Brescia. Ed allora perché non seguirne l’evoluzione?