Le elezioni legislative francesi dello scorso weekend meritano un approfondimento non solo per i risultati, ma anche per le ripercussioni che avranno in campo europeo.
Innanzitutto ricordiamo che la Francia è una repubblica semipresidenziale e dunque prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, il confermato Macron, ed un governo che viene nominato dal Presidente in base al risultato elettorale. Non di rado in Francia si è assistito alla cosiddetta coabitazione, cioè la convivenza tra un Presidente di una parte politica ed un primo ministro di un partito diverso da quello che esprime la massima carica dello stato: ma se la situazione si sarebbe già aggrovigliata in questo caso, dopo lo scrutinio elettorale potremmo essere di fronte ad un vero e proprio caso di parlamento ingovernabile. La richiesta del Presidente Macron di avere una maggioranza chiara per poter governare al meglio è infatti stata respinta dai francesi, così come quella di Melenchon (sinistra) di avere la possibilità di provare a governare in coabitazione con Macron, stesso sogno di Marine Le Pen (destra).
In vista anche delle prossime elezioni politiche italiane, che si terranno a meno di cataclismi nel 2023, possiamo fin da subito notare alcune dinamiche molto interessanti. Come purtroppo ormai accade in quasi tutte le democrazie europee (negli Stati Uniti è sempre successo ma lì il meccanismo è più farraginoso in quanto gli elettori si devono prima iscrivere alle liste elettorali), anche in Francia ha votato meno della metà degli aventi diritto: sia al primo che al secondo turno, perché il sistema elettorale è un doppio turno di collegio, l’astensione ha toccato quota 52% e poi 53%. Segno ancora una volta che i cittadini si sentono sempre meno rappresentati da una classe politica che, uscita dalla Scuola Politica di Parigi, dalle campagne rurali o dalla società civile, resta comunque distante dai problemi quotidiani.
Se poi guardiamo alle schede, ci accorgiamo fin da subito che il vero sconfitto è Macron, ma è in buona compagnia: anche i partiti della destra moderata escono dalla consultazione con le ossa rotte anche se potranno rivelarsi poi decisivi per la formazione della nuova compagine governativa. Crescono invece le due estreme, a sinistra come a destra, seppur con una storia completamente diversa alle spalle. Da un lato Marine Le Pen, sconfitta ancora una volta nella corsa alla Presidenza, si prende una grande rivincita conquistando una pattuglia parlamentare numerosa grazie al radicamento sul territorio. La destra lepenista infatti prospera ormai da anni in Francia e stavolta, anche grazie all’astensione così alta, si aggiudica ben 89 seggi frutto del capillare lavoro sul territorio. Storia ben diversa invece è quella della sinistra di Melenchon: qui infatti non si tratta di un vero e proprio partito quanto di un cartello elettorale nato da pochi mesi, espressione di molte sigle che però hanno trovato un terreno comune su cui poter far crescere una proposta politica credibile e radicale. Il leader ha mancato di poco addirittura il ballottaggio alle presidenziali ma non è riuscito nel sogno della coabitazione probabilmente per l’insufficiente mobilitazione di giovani ed astenuti.
Saranno le prossime settimane a spiegarci meglio ciò che è realmente accaduto in questa tornata elettorale grazie ai flussi ed agli studi. Se però possiamo trarre una conclusione è che da oggi in Francia è più difficile governare: ci vorranno lunghe trattative e qualche artificio programmatico per mettere insieme una coalizione che permetta alla Repubblica Transalpina di mantenere quella centralità degli ultimi decenni quando si è spesso parlato di locomotiva franco tedesca. Se pensiamo poi al ruolo che Macron ha cercato di giocare nella guerra Russia – Ucraina, le urne lo hanno ridimensionato non poco agli occhi di tutta Europa, un continente che sembra mancare non solo di forza propulsiva dal punto di vista economico, ma anche di leadership politica. Da un Macron dimezzato, ad uno Scholz troppe volte titubante, fino ad un Draghi chiamato come àncora di salvezza ma rappresentante di quella tecnocrazia spesso detestata, si prevedono mesi difficili per l’Europa senza una prospettiva di medio-lungo periodo.
In Francia e in tutto il mondo la gente è parecchio incazzata per la crisi economica innescata dal covid e peggiorata dalla guerra in Ucraina. E quando la gente è incazzata in tempi di elezioni, è del tutto normale che i partiti moderati ci perdano e quelli estremi ci guadagnino. Detto questo, i partiti estremi hanno cominciato a furoreggiare in tutta Europa da molto prima del covid e della guerra in Ucraina, quindi è sbagliato dire che prosperano esclusivamente sull’incazzatura della gente: evidentemente una fetta dei loro elettori li vota anche su base razionale, non è soltanto un voto “di pancia”.
Riguardo a Draghi, io non lo detesto affatto, anzi lo stimo. Di lui apprezzo una dote in particolare: la risolutezza. Ad esempio, quando Draghi decise di importare in Italia il green pass alla Macron Salvini cercò di limitarlo il più possibile, dicendo che andava messo soltanto per teatri, cinema e concerti (era un modo per strizzare l’occhio ai suoi amici ristoratori, con cui ha flirtato fin dall’inizio della pandemia); ebbene, Draghi se ne fregò così tanto di Salvini che alla fine impose il green pass non solo per bar e ristoranti, ma anche per i mezzi pubblici e perfino per andare a lavoro. E attenzione, la determinazione con cui Draghi tira a dritto contro tutto e tutti è figlia non di un arrogante senso di superiorità (come nel caso di Renzi), ma di una ferma volontà di fare la cosa giusta a qualsiasi costo, abbattendo qualsiasi ostacolo si frapponga tra lui e il suo obiettivo. Whatever it takes, come ha detto lui stesso. Magari tutti i nostri politici avessero un decimo delle sue palle.
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Chi dice che il voto alle estreme è solo questione di pancia è un radicale chic che scrive dall’alto del proprio avranno senza avere i piedi piantati nella realtà. Da Draghi mi aspettavo moooolto di più, forse perché ce lo avevano presentato come il Signore in terra. Certo la sua risolutezza è una grande dote soprattutto in un momento di pantano come questo e come quello che potrebbe uscire dalle urne nel 2023.
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Quando ho davanti un problema, tendo a pensare che la soluzione più radicale sia anche la più giusta. Questo perché a mio giudizio le soluzioni morbide non risolvono il problema, le vie di mezzo lo risolvono solo parzialmente, le soluzioni radicali invece talvolta lo peggiorano, ma più spesso lo risolvono. Avendo questa mentalità, era abbastanza logico che io finissi per votare un partito estremo, e infatti è da 8 anni (più precisamente dalle europee del 2014) che ho cominciato a votarne uno. In questi 8 anni non ho mai pensato neanche per un giorno che il mio fosse un voto di pancia: la mia decisione di sostenere quel partito è stata profondamente meditata e razionale, l’ho presa a mente fredda e l’ho confermata nel tempo in tante elezioni di ogni tipo.
Alla luce di questo, ti puoi immaginare quanto mi irriti quando sento i radical chic accusarmi di essermi fatto prendere dalla rabbia e di aver votato senza usare la testa: non solo perché nel mio caso non è vero, ma anche perché dietro a quest’accusa c’è il ragionamento altezzoso per cui se voti come i radical chic allora sei intelligente e assennato, se invece voti diversamente da loro allora sei uno stupido ignorante che si è fatto prendere per il naso dai partiti estremi. Assumere quest’atteggiamento è il modo più sicuro per venire sulle palle agli elettori (compresi quelli che sarebbero inclini a votarti), e l’anno prossimo i radical chic se ne accorgeranno di brutto. Grazie per la risposta! 🙂
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Concordo assolutamente! Ed infatti le estreme crescono ed i moderati calano se si eccettua quelle che vengono da famiglie politiche di grandi tradizioni. Quelle si salvano per il lavoro sul territorio, sempre più scarso, ma comunque ancora presente. Grazie a te, buona giornata
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