Stavolta la Pandemia è in Banca!

Con il fallimento di Silicon Valley Bank è in arrivo una tempesta perfetta? Ecco il contributo di Simone Pesucci.

In queste ultime ore è in corso una pandemia molto particolare. In effetti il virus che si sta propagando ha un nome molto comune e si chiama paura.

I suoi effetti colpiscono gli investitori, i correntisti ed in generale tutti coloro che hanno rapporti più o meno importanti con il mondo bancario. Come ogni pandemia che si rispetti (fortunatamente ne conosciamo pochissime), anche in questo caso è tutto partito da un paziente zero, ovvero la Silicon Valley Bank (SVB), una banca che si offriva di finanziare qualsiasi startup innovativa. Il meccanismo era semplice: creata la tua startup, aprivi un conto presso la SVB e questa ti finanziava da subito, mentre creavi il tuo business e provvedevi a cercare capitali da finanziatori o partner; quello che guadagnavi lo mettevi nel medesimo conto, così da ripagare il finanziamento iniziale. SVB aveva avuto moltissimo successo, con il risultato di trovarsi centinaia di migliaia di conti aperti e finanziati, molti dei quali con somme di gran lunga superiori a 250mila dollari. Questa cifra è il tetto entro cui il sistema centrale americano garantisce i correntisti in caso di default della banca.

Negli anni però, SVB ha fatto moltissimi investimenti rischiosi per avere marginalità e continuare a finanziare nuove imprese, ma con la crisi globale questi investimenti non hanno reso quanto sperato ed ha cominciato a vendere in perdita (cioè a vendere azioni ad un prezzo minore rispetto a quello di acquisto). Spargendosi la voce che le cose andavano male, moltissimi correntisti hanno cominciato a chiudere i conti ed a richiedere indietro le somme versate: SVB, non disponendo di tale liquidità immediata, è velocemente andata KO.

Di per sé la vicenda, seppur drammatica, dovrebbe essere ristretta all’area geografica americana ma in realtà così non è perché moltissime imprese che avevano i propri capitali in SVB operavano a livello globale ed avevano altri prestiti e linee di credito presso altre banche. A cascata quindi, prima i rispettivi titoli azionari e poi le altre banche si sono man mano trovate in difficoltà e il clima di preoccupazione è diventato panico!

Non solo: come detto, il sistema USA garantisce i correntisti dal rischio default fino a 250mila dollari mentre la cifra eccedente depositata sui conti corrente viene persa. Questo crack sta mettendo dunque a dura prova il tesoro americano, perché sono piovute decine di migliaia di richieste di risarcimento innescando un pericoloso effetto domino tanto che, per continuare con la metafora, la pandemia è giunta anche in Europa con il crollo delle Borse di questi giorni. Adesso la Federal Reserve sta valutando di rilevare in proprio i prestiti in modo da sostituirsi alla SVB e non dover quindi risarcire i correntisti, ma nel frattempo moltissime aziende, e con esse tutto l’indotto economico, i dipendenti e la galassia di altre imprese che ruotano attorno ad esse sono a rischio!

Questo effetto contagio è causato anche dalla migrazione di moltissime aziende che, in fuga da SVB, sono approdate in altre banche che, a loro volta per far fronte alla richiesta di liquidità, stanno registrando perdite enormi (la First Republic ha perso il 76% ad esempio!!!).

Joe Biden ha rilasciato un comunicato garantendo i correntisti sul fatto che la riserva americana restituirà le somme a tutti, anche coloro che avevano somme superiori a 250mila dollari mentre non aiuterà gli investitori, che dovranno accettare il rischio.

Basterà a fermare l’onda del contagio?

Ti fidi di me?

Il naufragio di Crotone è arrivato in questi giorni nelle nostre case come un pugno in faccia, ma cosa facciamo quotidianamente per evitare che accada? Ecco un contributo di Simone Pesucci che pubblico molto volentieri.

Una delle caratteristiche che ci élevano tra le specie animali è la capacità di provare empatia, cioè di poter percepire la sofferenza e il dolore altrui senza che questi ne esprima esternamente i segnali. E’ una capacità meravigliosa, che nel tempo anziché glorificare, abbiamo imparato a contenere sempre più, fino a tradurla nel suo terribile opposto: l’indifferenza. In questi giorni abbiamo assistito all’ennesima tragedia annunciata, un barcone carico di persone che fuggono dai propri paesi sfidando la tempesta su di un mezzo inadeguato e vanno incontro ad un naufragio che causa decine di morti annegati.

Non è la prima volta che accade in questi anni e purtroppo non sarà nemmeno l’ultima.

Stavolta però, abbiamo toccato con mano l’indifferenza del nostro governo che – in un modo che spero verrà chiarito quanto prima – ha ritardato l’invio dei soccorsi impedendo di salvare più vite di quello scarso centinaio che siamo riusciti a recuperare. Lo si legge nel volto sconsolato del marinaio di Crotone che, intervistato, glissa ma fa ben capire che il mancato salvataggio possa non dipendere da un triste caso fortuito. E lo ribadisce un ministro che con incredibile indifferenza afferma che con quel mare non sarebbero dovuti partire.

Come se quelle persone fossero escursionisti amatoriali che avessero valutato male il meteo!! Purtroppo però, quelle non erano persone in gita, ma uomini, donne e bambini che fuggivano da un mondo in rovina, da guerre, da una miseria di cui non abbiamo più alcuna memoria; fuggivano per dare un futuro ai loro figli. E non hanno trovato empatia, ma il suo terribile opposto, cioè il velo dell’indifferenza. L’indifferenza non soltanto di chi ci governa ma anche dell’intera Europa, perché più una cosa è distante, meno rumore e paura fa; ed allora paesi più lontani di noi da quelle coste hanno ancora meno empatia, ancor più indifferenza. Oggi possiamo piangere e parlarne quanto vogliamo, ma non è il dialogo che cambierà le cose. Già adesso, già ora mentre scrivo e ora, mentre voi leggete, altre navi, altre donne e uomini e altri bambini stanno in mezzo al mare. Stanno rischiando la vita per fuggire.

Possiamo provare a capire da cosa fuggono, possiamo provare ad aiutarli a casa loro, possiamo per un attimo smettere di crederci colonialisti dell’800 e dare loro la stesse possibilità che abbiamo noi, possiamo accoglierli veramente, integrarli, riconoscere loro la cittadinanza italiana, europea, dar loro una nuova casa.

Oppure no.

Possiamo continuare a scegliere di negare una delle qualità che ci elevano rispetto agli altri animali, lasciarli morire ogni giorno, sperare che smettano, sperare di smettere di leggere queste notizie, restare indifferenti.

E magari commuoverci per la scomparsa di un anziano iscritto alla P2.

Perché aveva una gran bella camicia.

Soffia il vento ma sarà Bufera?

Ricevo e pubblico molto volentieri il contributo di Simone Pesucci in merito all’elezione di Elly Schlein quale nuova segretaria del Partito Democratico.

PREMESSA:

Lunedì mattina, dopo l’esito delle primarie che hanno incoronato Elly Schlein nuovo segretario del Partito Democratico, ho scritto una riflessione in parallelo con Luca per questo blog. Non avevo letto la sua, che comunque immaginavo giustamente entusiasta, ma quando gliel’ho inoltrata, nel primo pomeriggio, il primo commento è stato “certo che la detesti proprio…”. Se Luca ha percepito nel mio scritto questa avversità nei confronti del nuovo segretario PD, evidentemente deve aver letto cose che non intendevo dire. Ho quindi fatto una serena autocritica, ci ho dormito sopra e ho deciso di riscrivere le mie impressioni, contando stavolta fino a 10.

Dunque, ricominciamo. Domenica sera Elly Schlein ha vinto le primarie del Partito Democratico: il voto è andato in controtendenza rispetto ai risultati dei voti di circolo, ovvero dei tesserati, che avevano espresso una netta preferenza per Stefano Bonaccini. Schlein è la prima donna segretario del PD ma probabilmente è anche la persona che ha fatto intercorrere meno tempo tra la sua iscrizione al partito (12 dicembre 2022) e la sua vittoria. Si perché la nuova segretaria aveva da 7 anni lasciato il Partito Democratico aderendo con Pippo Civati a Possibile, poi lavorando a fianco dello stesso Bonaccini in Emilia Romagna, eletta con una lista civica a sostegno di quest’ultimo. Elly Schlein aveva lasciato il Partito Democratico dopo anche l’esperienza di OccupyPD (una protesta interna per  la mancata candidatura di Romano Prodi a Presidente della Repubblica – non certo la cosa più di sinistra che mi verrebbe in mente) e soprattutto in dissenso con la linea politica di Renzi definendola “di centro-destra”. La neo segretaria vanta un curriculum di tutto rispetto: laurea con lode in diritto costituzionale, impegnata in politica da sempre, già europarlamentare, sostenitrice di Obama e molte altre qualità che, quando le professava Letta facevano schifo, ma scritte sulla pagina Wiki di Elly Schlein piacciono molto. Disclaimer: anche se sembra ironico, apprezzo realmente il curriculum di questa giovanissima ragazza perché effettivamente è una attiva in politica da sempre, una che ha fatto la “gavetta” come pochissimi altri politici attuali.

Fondamentalmente però i valori “di sinistra” che tutti applaudiamo in lei, non sono tutti realmente tali nel senso stretto del termine: sembra una banalità dirlo, ma la battaglia per i diritti civili, per la parità tra uomini e donne, per i diritti lgbtq+ sono tutti valori propri del compianto partito radicale guidato anch’esso da una donna. E anche la lotta per l’ecologia è una battaglia non di sinistra, bensì dei Verdi. Che poi, almeno per me, se sei una paladina dell’ecologia e antinucleare, sei al pari di un medico novax, spiace dirlo con l’aggravante anagrafica e culturale (cioè sei troppo giovane e intelligente per essere ancora legata a questioni apertamente antiscientifiche!). Ha anche una visione opaca sulla gestione del conflitto in Ucraina visto che ha manifestato una manciata di mesi fa contro l’invio delle armi, ma oggi è a favore del sostegno a questo popolo… insomma un pò come la Meloni che si è scoperta atlantista il 26 settembre. Questi valori, un po’ come l’antifascismo, non sono valori “di sinistra” ma sono valori universali su cui sono state fatte, nei decenni passati, battaglie importanti da tutti i partiti, salvo poi essere “assorbiti” da quelli di sinistra che li hanno aggiunti ai propri. Poi, ma non voglio infierire, se una persona “di sinistra” non riesce a rispondere alla domanda “è comunista?” con un “si, certo!” ma con un balbettante “sono nata nel 1985”, allora è stata semplicemente votata l’ennesima meno peggio; perché se viviamo in un paese in cui il presidente della camera rivendica senza alcun problema il proprio anti-antifascismo e si tiene i busti del duce in casa, mentre una donna non può dire di essere portatrice anche di ideali comunisti (che in Italia non hanno mai portato danno proprio perché privi della matrice estremista e antidemocratica che altrove li ha stravolti e resi aberranti), per dirla con Aldo, Giovanni e Giacomo, “la situazione si sta ribaltando”.

Ecco, già lo sento Luca che mi scrive che questo articolo è addirittura peggiore di prima.

Allora cerco di spiegare i motivi per cui mi posso solo limitare a sperare che nessuno resti troppo deluso dall’elezione di Elly Schlein, non tanto per lei, che secondo me invece farà benissimo, ma per l’essersi messa alla guida di un mezzo non suo, che non risponderà mai ai suoi comandi e appena possibile la lascerà a piedi. Il problema, come sempre in questi casi, sono le aspettative che riponiamo in questo risultato storico, che storico non è per il meccanismo stesso delle Primarie del PD. Queste sono infatti un’aberrazione antidemocratica e forse una delle peggiori fesserie fatte da questo partito per autoassolversi dal non essere mai coerente con se stesso. Pensateci: è l’unico partito che si fa eleggere il proprio segretario da tutti gli altri, e non già dai suoi stessi elettori! Le Primarie infatti sono aperte a chiunque, anche a non elettori del PD; un po’ come se volessimo nominare un nuovo presidente dell’Ucraina e farlo votare da tutto il mondo, e non soltanto dal popolo Ucraino (vi lascio immaginare da soli lo scenario possibile), sostenendo che sia una scelta “molto più democratica”.

I circoli, “la base” del PD, avevano scelto un altro candidato: eppure ora devono tenersi un soggetto che non volevano, portatore di una corrente che nel PD, semplicemente, non esiste più, in nome di una sorta di idea malata di democrazia. Il termine democrazia però è riferito alla possibilità che il governo – una qualche forma di leadership – sia nominato dal popolo: la nostra democrazia parlamentare ad esempio è una forma di democrazia indiretta, poiché noi eleggiamo rappresentanti (i parlamentari) che hanno poi l’incarico di scegliere e nominare il governo. Le primarie del PD non sono una forma di democrazia, perché mirano ad eleggere un segretario e, finché la Crusca non viene a dirmi il contrario, faccio fatica a considerare tale figura quale “capo” di un partito. Guardiamo poi cosa significa, statuto alla mano, fare il segretario del Partito democratico. Leggendo attentamente l’art. 5 comma 1 dello statuto del PD, vediamo che: “Il Segretario nazionale rappresenta il Partito, ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale, l’indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione ed è proposto dal Partito come candidato all’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri”. Quindi il segretario è un rappresentante della leadership elettorale e istituzionale, senza dettare la leadership. Ed esprime l’indirizzo politico non suo, ma della piattaforma approvata al momento della sua elezione! Ergo, se non mi difetta la logica, Elly Schlein da domani deve seguire le indicazioni espresse dall’Assemblea nazionale, che, lo ricordo, ai sensi dell’art. 6 comma 4 dello Statuto, “ha competenza in materia di indirizzo della politica nazionale del Partito, di organizzazione e funzionamento di tutti gli organismi dirigenti nazionali, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte delle Unioni regionali e delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano”. Insomma votate chi vi pare, ma il Segretario dovrebbe esprimere solamente l’indirizzo politico dell’assemblea nazionale. Trovo questa affermazione pleonastica in un Partito che ha la parola “democratico” nel suo nome, ma evidentemente non è così, se tutti coloro che hanno votato Elly Schlein auspicano un cambio di rotta del PD. Perché delle due l’una: o veramente Schlein è in grado di dirottare il partito verso idee diverse da quelle che fino ad oggi ha sostenuto (e quindi sostanzialmente non è un partito democratico ma un soggetto populista che prende le vesti che gli rifila una platea di persone più ampia del suo stesso elettorato), oppure Schlein non conta granché, se non come un generico segnale che pure a sinistra volevano avere una giovane donna come portavoce; non per le sue idee, ma per la sua identità. Che ci può pure stare, per carità ma a mio avviso c’è anche una terza via, quella del bieco realismo.

Il Segretario del PD è una figura assai vicina al povero Sig. Malausséne di Pennac: è il Capro espiatorio che serve al Partito democratico per avere qualcuno a cui dare la colpa quando e se le cose dovessero andare male. Lo è sempre stato, da Bersani a Renzi (con lui anche meglio, attribuendogli letteralmente tutto ciò che di sbagliato il PD ha mai fatto durante il suo governo, quasi come non fosse stata roba votata da tutti gli altri esponenti), da Zingaretti a Letta e ora Schlein. Così, se detterà una linea guida più forte, sarà tacciata internamente di non essere democratica, mentre se sarà piegata dalle mille correnti contrarie e farà peggiorare i consensi elettorali, sarà lei l’unica causa di tale disfatta. In quest’ottica, il buon Bonaccini ha più ragioni per festeggiare la sconfitta che Schlein di brindare alla vittoria, perché si è scansato l’accantonamento mediatico e potrà sempre contare sul gradimento di cui gode come presidente di regione.

Riassumendo il senso di questo articolo, ribadisco che il problema non è assolutamente Elly Schlein, ma l’aspettativa di un cambio di rotta di un partito politico che dovrebbe cambiare ideologia perché il suo segretario gliela impone. Vedo che molti auspicano che nessuno metta i bastoni tra le ruote al nuovo segretario, lasciandola lavorare (ma in passato è sempre successo, anzi la stessa Schlein lo ha fatto, di manifestare il dissenso rispetto alla linea politica del segretario abbandonando il partito…. non vedo perché ora dovrebbe andare diversamente). Un partito politico deve essere il faro dei propri elettori, non il contrario: se questi si rivedono nell’ideologia che porta avanti, lo votano; altrimenti vanno altrove. Se è il partito che deve cambiare idea per compiacere il proprio elettorato, quel partito è populista.

E non si chiama partito, si chiama Movimento.

Ma oggi limitiamoci a festeggiare quella che per molti è una vittoria, vedendo emergere una figura giovane e nuova, con le sue speranze e le sue idee, alla guida di quel vecchio macinino che è il Partito democratico.

Auguri Elly!

Un esito imprevedibile, mai visto: Elly Schlein è segretario del PD!

E’ stata una svolta storica, incredibile, del tutto inaspettata anche dai più grandi istituti demoscopici che ancora una volta hanno dimostrato di non saper più fotografare il paese reale.

Un paese reale che, attraverso la partecipazione alle primarie di più di 1 milione di persone, ha deciso di voltare pagina in maniera roboante, quasi come se non fosse più possibile cercare un’operazione di maquillage, ma fosse necessario un salto in avanti, forse nel buio, ma che cercasse di indicare una strada nuova, quella di Elly Schlein. E’ stata la campagna elettorale della prima volta: quella del rovesciamento del risultato tra i circoli ed i gazebo (con il voto degli iscritti Bonaccini aveva più di 10 punti di vantaggio), di un segretario finalmente donna, di una under 40 alla guida, di una donna perlopiù bisessuale che mette al centro del proprio programma i diritti del lavoro, quelli sociali e la lotta al cambiamento climatico.

In tutte queste prime volte sta il fascino e contemporaneamente il rischio della sfida di Elly Schlein, una sfida che prova, forse per l’ultima volta, a ricostruire una comunità intorno ad una piattaforma valoriale che troppe volte negli ultimi anni è stata piegata al mero interesse di governo. E’ chiaro che sarà dura da digerire per tanti signori delle tessere, per tanti capi bastone un segretario donna, femminista, ecologista, bisessuale, ex europarlamentare, una di occupy PD uscita insieme a Civati per creare Possibile, adesso deputata dopo l’esperienza in regione Emilia Romagna quale vice presidente proprio di Bonaccini. Schlein è riuscita a fare breccia sugli elettori, più che sugli iscritti, stanchi di un Partito Democratico ormai prono ai soli interessi di governo, un partito del potere che si era dimenticato da troppi anni quale fosse il proprio blocco sociale di riferimento, una macchina che aveva come unico obiettivo quello di spartirsi le poltrone del potere governando con chiunque ed indipendentemente da ciò che veniva messo in atto, indipendentemente dai valori o dalle ricadute sulle fasce più deboli della società.

Sono chiari però fin da subito anche le difficoltà ed i rischi di questa scelta così dirompente. Innanzitutto dobbiamo ricordare che Elly Schlein è stata votata più dai non iscritti ai gazebo che dagli iscritti al PD che hanno votato nei circoli. Inoltre il nuovo segretario fino a due mesi fa nemmeno era tesserata del partito, e questo, sommato ai voti esterni al partito, oltre ad essere un’oggettiva anomalia, rischia di costituire i piedi d’argilla di un segretario azzoppato. I delegati del partito, i gruppi intermedi, i tesserati, potrebbero non sentirsi rappresentati da una persona che è stata tra le più aspre oppositrici delle politiche liberiste e riformatrici del periodo renziano: siamo sicuri che tutti coloro i quali invocavano la collaborazione nel caso di vittoria di Bonaccini, siano pronti ad offrirla adesso? Ed inoltre, le varie anime del PD, soprattutto quelle più vicini agli ex DC, saranno pronte a mettersi a disposizione di un progetto che ha parole marcatamente di sinistra? Ciò che si può dire è che, avendo di fronte qualche anno di opposizione, avere un segretario che segni maggiormente le differenze dal governo in carica (anziché fare i complimenti al premier Meloni come fatto da Bonaccini), che parli finalmente una lingua diversa, rivolta ai giovani ed alle donne, che sia più schierata quando si parla di diritti civili, sociali e del lavoro, potrebbe aiutare a far tornare a battere il cuore ad un popolo ormai disperso, senza piazza e senza governo.

Altri nodi però verranno presto al pettine, come quelli relativi al tema delle alleanze. Con Schlein, è molto probabile un riavvicinamento non solamente all’Alleanza Verdi-Sinistra ma anche al Movimento 5 Stelle, mentre sembra più difficile un dialogo col Terzo Polo che ha già iniziato ad ammiccare all’ala più riformista del PD: riuscirà Schlein a tenere unito il partito?  E sul territorio, quasi tutti i governatori ed i sindaci più importanti che si erano schierati con Bonaccini, ad esempio De Luca a Giani, saranno leali adesso che il loro candidato ha perso? Si apriranno poi tante questioni nelle diverse regioni, basti pensare alla nostra Toscana: con Bonaccini erano schierati Giani, Nardella, Parrini e Bonafé, insomma tutto l’apparato che ha fatto il bello ed il cattivo tempo nella nostra regione negli ultimi anni. Ci aspettano mesi di fibrillazioni oppure tutti saranno pronti a lavorare per il bene del partito?

Ne parleremo ancora, qui sul blog con articoli e magari con un podcast dedicato, perché l’unica cosa di cui sono certo è che Schlein si sia presa una brutta gatta da pelare ed allora….

Buon lavoro segretario!

La filastrocca del 2023

Prima di mettermi a tavola per il cenone

devo rinnovare la nostra tradizione

scrivere una filastrocca per il nuovo anno 

come ormai troppi pochi fanno.

Gioie e delusioni si sono alternati

come accaduto negli anni passati

ma nel 2022 abbiamo sentito forte il terrore

per colpa della guerra scatenata da un coglione.

L’idea avuta in testa da Putin il conquistatore

mi pare simile a quella di qualche dittatore 

è riuscito a riportare indietro le lancette dell’orologio

e ci ha costretti a leggere ogni giorno il necrologio.

Nell’anno in cui si è riaffacciata una superpotenza

perdiamo un grandissimo uomo di scienza

Piero Angela divulgatore in grado di raggiungere tutti

dai Professori universitari fino ai farabutti.

In quest’anno se n’è andata una figura che mi accompagnava da quando sono nato

la regina Elisabetta che gli eventi più importanti aveva attraversato

chissà se Carlo dopo tutti questi anni di attesa

riuscirà a tenere la corona dagli scandali difesa.

Nella nostra Italia che il cinema ama

una lunga malattia ha spento una meravigliosa madama

la bravissima Monica Vitti ci ha dovuti lasciare

ma la bandiera della sua arte non si potrà ammainare.

Mentre questi personaggi il 2022 salutava

il costo della vita intanto volava

con il prezzo del gas che si issava beffardo

quasi come se fosse un lucente smeraldo.

Draghi con il governo dei migliori ha provato a tenere su la baracca

ma Berlusconi Salvini e Conte erano intenti a cambiare casacca

facendo cadere all’improvviso l’esecutivo

portando il paese ad un voto insolitamente estivo.

Giorgia Meloni ha condotto per la prima volta la destra alla guida del paese

speriamo che le tante promesse non siano adesso disattese

all’opposizione bastava dire “no!” per avere ragione

ora servono politiche che aiutino le persone

per uscire da un periodo buio come la notte

senza ritrovarsi tutte le ossa rotte.

Per il 2023 vorrei che la nostra nazione

prendesse dal Marocco dei mondiali una bella lezione

lottare tutti insieme per un unico obiettivo

aiuta anche il mediocre ad essere superlativo.

Buon 2023 a tutti!!

Al voto al voto!

Alla fine ce l’hanno fatta a mandarci alle elezioni anticipate!

Dapprima il colpo di sole di Salvini che voleva poteri illimitati, poi il Conticidio di Renzi che ha rovesciato il governo durante la pandemia e la stesura del PNRR, adesso Conte che ha iniziato a tirare la corda senza capire che avrebbe scatenato un domino al quale Salvini e Berlusconi avrebbero contribuito con grande felicità (come abbiamo raccontato nell’ultima puntata del Podcast Il BarLungo con Simone)!

Al netto degli schieramenti di cui parleremo più avanti, la questione centrale che nessuno cita ma che fotografa perfettamente l’incapacità della classe politica italiana, è la legge elettorale con la quale andremo a votare. Ricordate? Si chiama Rosatellum, dal nome dell’indimenticabile parlamentare turborenziano che ha partorito questo obbrobrio contro il quale tutti i partiti politici si sono scagliati durante la campagna elettorale del 2018 promettendo di cambiarla non appena avessero vinto le elezioni. Poiché però nessuno ne era stato capace (o forse se ne era dimenticato), il tema era tornato in auge nel momento di votare il referendum costituzionale grazie al quale il prossimo parlamento sarà più snello. Tutti i costituzionalisti infatti, avevano messo in guardia dall’effetto distorsivo che il taglio del numero degli eletti, sommato al Rosatellum, avrebbe avuto sulla rappresentanza del nuovo parlamento! Quanti paladini del Sì al referendum avevano giurato e spergiurato che, prima delle successive elezioni politiche, avrebbero messo mano alla legge elettorale? Tutti! Quanti hanno lottato per arrivare alla riforma? Nessuno!

In mezzo alle lacrime di coccodrillo che adesso quasi quotidianamente si versa in tv, è dunque iniziata la campagna elettorale. Da una parte abbiamo la solita litanìa di un Berlusconi che ha iniziato a promettere qualcosa a tutti: 1 milione di alberi (peccato che grazie al PNRR ne pianteremo almeno 6 milioni) e mille euro al mese di pensione per 13 mensilità! Intanto Salvini, che si è fatto intervistare in mezzo a quadri di Madonne (probabilmente per ricordare quante ne sta tirando ogni volta che guarda i sondaggi di Fratelli d’Italia), ha ricominciato a sbraitare contro gli sbarchi a Lampedusa senza però dimenticarsi di lisciare il pelo a tutte le sue categorie di riferimento con la flat tax al 15% (misura tra l’altro già bocciata sia dalla Ragioneria dello Stato che dall’Unione Europea) ed il Ponte sullo Stretto perché quello non passa mai di moda. Chi invece negli ultimi giorni si sta sottraendo alle boutade elettorali è Giorgia Meloni, forse per ricalibrare la sua immagine verso una possibile premiership di governo: la signora NO che negli ultimi anni ha capitalizzato l’opposizione come meglio non poteva. Del resto in un momento di scelte dolorose per il paese, cosa c’è di più facile che stare a guardare gli altri dicendo che sbagliano sempre? Si trova sempre qualcuno scontento che si sente rappresentato dal tuo no!

Se però a destra (perché il centro mi sa che se lo sono perso per strada) riescono a marciare compatti, dall’altre parte la baraonda è servita! Fino a nemmeno dieci giorni fa Letta e Conte magnificavano le sorti del Campo Largo con la sinistra ed una parte del centro democratico e progressista in assoluta continuità con il governo Conte 2. Peccato che dopo poco più di una settimana facciano finta di non conoscersi per non doversi salutare! Intanto però, nel frattempo, il PD ha riabilitato Calenda, esattamente quello che ha preso i voti per farsi eleggere al Parlamento Europeo e poi ha salutato la comunità per farsi un proprio partito. Lo stesso che alle ultime amministrative si è presentato contro il centrosinistra in quasi tutte le realtà e che, grazie alla considerazione smisurata del suo ego, si è addirittura candidato ad essere il futuro premier del paese. Oltre a Calenda, i democratici stanno rispolverando Sinistra Italiana di Fratoianni, l’unica forza di opposizione che non è riuscita a guadagnare un voto durante il governo Draghi, ed i Verdi. Oltre ad essi però, si sta lavorando su quella che potrebbe essere la grande novità di queste elezioni politiche: una lista civica nazionale nella quale dovrebbe trovare posto quella cosiddetta società civile che negli ultimi anni sul territorio ha spesso confezionato sorprese ed ha anticipato tempi e temi rispetto alla politica tradizionale. Pare che potrebbero farne parte sindaci eletti in coalizione, ex sindaci provenienti dal Movimento 5 Stelle delle origini come Pizzarotti, personaggi del mondo della cultura. Il tutto senza dimenticare la scheggia impazzita Renzi, che sembrerebbe addirittura poter tornare alleato del PD. Insomma una marmellata assoluta!

Tutti i sondaggi dicono che il risultato sarà una valanga di destra sul paese ma molto dipenderà dal risultato dei 5 Stelle, al momento fuori dalle due aggregazioni, dai temi della campagna elettorale e soprattutto dalla battaglia nei collegi uninominali, quelli che dovevano essere ridisegnati dalla riforma del Rosatellum.

Su questo blog e nei nostri podcast seguiremo la campagna elettorale e non solo: restiamo in contatto!

Crisi o non crisi: è veramente questo il problema?

In una delle legislature più pazze della storia repubblicana le sorprese non finiscono mai! 

Dopo aver visto cambi di casacca, giravolte, carpiati (a proposito complimenti sinceri a Elio Vito che, a differenza dei vari Renzi, Calenda e Di Maio solo per citare i più famosi protagonisti di uscite dai rispettivi partiti, ha avuto la decenza di dimettersi) adesso l’ex premier Conte, colui che ha guidato un governo con la Lega prima e col PD poi, ha deciso che quel che resta del Movimento 5 Stelle non votasse la fiducia al Senato dopo averla già negata alla Camera. Ma mentre i deputati hanno la possibilità di astenersi, i senatori che non partecipano al voto sono equiparati a coloro i quali votano contro ed allora i pentastellati sono usciti dall’Aula.

In questa orgia di egocentrismo in cui ormai tutti i (cosiddetti) leaders si ritengono imprescindibili, Conte ed i gruppi pentastellati hanno deciso che la misura era colma ed il Governo dei Migliori non era più meritevole del proprio sostegno. Cerchiamo però, almeno su questo blog, di aprire un riflessione nel merito della questione e non solo rifacendosi alle proprie convinzioni politiche. Una cosa però lasciatemela dire: trovo sinceramente che la cosa più spassosa sia sentire personaggi come Renzi accusare gli altri di essere a fine corsa o politici come Di Maio accusare Conte di personalismi quando hanno creato dal nulla partiti che si fondano solo ed esclusivamente sui posti di potere da loro guadagnati grazie al consenso di un partito dal quale sono usciti senza avere nemmeno la decenza di dimettersi.

Ciò detto, possiamo senza dubbio affermare che gran parte dei temi che il Movimento ha messo sul tavolo sono ampiamente condivisibili: è vero o no che il salario dei lavoratori dipendenti italiani è sceso negli ultimi 20 anni mentre in tutta Europa è notevolmente aumentato? Possiamo dire che, nel momento in cui il riscaldamento sarà nuovamente acceso nelle case di tutti gli italiani, ci saranno difficoltà a pagare le bollette? È un’eresia pensare che mentre tutti ci riempiamo la bocca con la transizione ecologica, dare la possibilità al sindaco di Roma Gualtieri di aprire un termovalorizzatore sia un errore da matita rossa? È lesa maestà affermare che la precarietà creata dai mille contratti di lavoro possibili sta raggiungendo limiti insopportabili? E che tantissimi lavoratori hanno paghe da fame senza vedersi riconosciuto un salario con il quale poter vivere senza preoccupazioni?  

Il grande manovratore Draghi, colui che con il solo schioccare delle dita doveva risolvere tutti i problemi del paese ha dato risposte sinceramente insufficienti ed ondivaghe a tutte queste problematiche. Certo non è con i bonus a pioggia di cui Conte era diventato un totem che si risolvono i problemi del paese, ma nemmeno voltandosi dall’altra parte come sembra aver fatto questo esecutivo!

Non so sinceramente se il cosiddetto documento dei 9 punti pentastellati sia un motivo sufficiente per aprire una crisi di governo, e nemmeno so quale sia stata la reale portata delle risposte di Draghi a questo documento. Ciò che si vede però lontano un miglio è che con la scissione di Di Maio che continua ad acquisire parlamentari atterriti dall’idea delle elezioni anticipate, la regia di Giorgetti nella Lega che ha già affermato che spesso le partite hanno anche i tempi supplementari ed un PD guidato da Letta che in nome della responsabilità governerebbe anche con Meloni, Draghi potrebbe comunque avere una maggioranza con la quale continuare il proprio operato incardinando anche una bella riforma elettorale in senso proporzionale che potrebbe mantenerlo a Palazzo Chigi ben oltre il 2023. Dall’altro lato mi sembra altrettanto chiaro che Conte punti a riposizionare il proprio movimento sulla scia di quel che ha fatto Melenchon in Francia: un contenitore barricadero in cui l’ambientalismo si sposa con le rivendicazioni sociali delle categorie meno protette dal welfare e dalla giungla dei contratti lavorativi. Un movimento che si sarebbe chiamato fino a qualche anno fa di sinistra, ma che oggi viene definito populistico. Un’aggregazione che avrà certamente tanti difetti ma che, se riscuoterà successo, avrà anche un grande merito: quello di incanalare nello schema democratico e parlamentare il malcontento di tante persone che potrebbe avere sbocchi ben più drammatici!

Elezioni in Francia: e ora?

Le elezioni legislative francesi dello scorso weekend meritano un approfondimento non solo per i risultati, ma anche per le ripercussioni che avranno in campo europeo.

Innanzitutto ricordiamo che la Francia è una repubblica semipresidenziale e dunque prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, il confermato Macron, ed un governo che viene nominato dal Presidente in base al risultato elettorale. Non di rado in Francia si è assistito alla cosiddetta coabitazione, cioè la convivenza tra un Presidente di una parte politica ed un primo ministro di un partito diverso da quello che esprime la massima carica dello stato: ma se la situazione si sarebbe già aggrovigliata in questo caso, dopo lo scrutinio elettorale potremmo essere di fronte ad un vero e proprio caso di parlamento ingovernabile. La richiesta del Presidente Macron di avere una maggioranza chiara per poter governare al meglio è infatti stata respinta dai francesi, così come quella di Melenchon (sinistra) di avere la possibilità di provare a governare in coabitazione con Macron, stesso sogno di Marine Le Pen (destra).

In vista anche delle prossime elezioni politiche italiane, che si terranno a meno di cataclismi nel 2023, possiamo fin da subito notare alcune dinamiche molto interessanti. Come purtroppo ormai accade in quasi tutte le democrazie europee (negli Stati Uniti è sempre successo ma lì il meccanismo è più farraginoso in quanto gli elettori si devono prima iscrivere alle liste elettorali), anche in Francia ha votato meno della metà degli aventi diritto: sia al primo che al secondo turno, perché il sistema elettorale è un doppio turno di collegio, l’astensione ha toccato quota 52% e poi 53%. Segno ancora una volta che i cittadini si sentono sempre meno rappresentati da una classe politica che, uscita dalla Scuola Politica di Parigi, dalle campagne rurali o dalla società civile, resta comunque distante dai problemi quotidiani.

Se poi guardiamo alle schede, ci accorgiamo fin da subito che il vero sconfitto è Macron, ma è in buona compagnia: anche i partiti della destra moderata escono dalla consultazione con le ossa rotte anche se potranno rivelarsi poi decisivi per la formazione della nuova compagine governativa. Crescono invece le due estreme, a sinistra come a destra, seppur con una storia completamente diversa alle spalle. Da un lato Marine Le Pen, sconfitta ancora una volta nella corsa alla Presidenza, si prende una grande rivincita conquistando una pattuglia parlamentare numerosa grazie al radicamento sul territorio. La destra lepenista infatti prospera ormai da anni in Francia e stavolta, anche grazie all’astensione così alta, si aggiudica ben 89 seggi frutto del capillare lavoro sul territorio. Storia ben diversa invece è quella della sinistra di Melenchon: qui infatti non si tratta di un vero e proprio partito quanto di un cartello elettorale nato da pochi mesi, espressione di molte sigle che però hanno trovato un terreno comune su cui poter far crescere una proposta politica credibile e radicale. Il leader ha mancato di poco addirittura il ballottaggio alle presidenziali ma non è riuscito nel sogno della coabitazione probabilmente per l’insufficiente mobilitazione di giovani ed astenuti.

Saranno le prossime settimane a spiegarci meglio ciò che è realmente accaduto in questa tornata elettorale grazie ai flussi ed agli studi. Se però possiamo trarre una conclusione è che da oggi in Francia è più difficile governare: ci vorranno lunghe trattative e qualche artificio programmatico per mettere insieme una coalizione che permetta alla Repubblica Transalpina di mantenere quella centralità degli ultimi decenni quando si è spesso parlato di locomotiva franco tedesca. Se pensiamo poi al ruolo che Macron ha cercato di giocare nella guerra Russia – Ucraina, le urne lo hanno ridimensionato non poco agli occhi di tutta Europa, un continente che sembra mancare non solo di forza propulsiva dal punto di vista economico, ma anche di leadership politica. Da un Macron dimezzato, ad uno Scholz troppe volte titubante, fino ad un Draghi chiamato come àncora di salvezza ma rappresentante di quella tecnocrazia spesso detestata, si prevedono mesi difficili per l’Europa senza una prospettiva di medio-lungo periodo.

Referendum: un flop annunciato, cercato e voluto!

Una batosta colossale per i Radicali, la Lega di Salvini, Italia Viva di Renzi e tutti coloro che hanno voluto portare gli italiani ad esprimersi sui 5 quesiti meno votati della storia referendaria del nostro paese.

Appena un italiano su cinque ha sentito la voglia, l’esigenza o soprattutto il dovere morale (come nel mio caso) di recarsi al seggio per esercitare il diritto politico per antonomasia, il voto. Diciamoci la verità, anche tantissimi di quei pochi che hanno votato non hanno capito fino in fondo i quesiti referendari e soprattutto le possibili conseguenze dell’abrogazione delle leggi su cui si chiedeva un parere: questioni troppo tecniche, difficili anche per addetti ai lavori, figuriamoci per persone normali come me che cercano di approfondire, studiare ma non sono del mestiere. Cerco sempre di evitare facili populismi o scorciatoie rispetto a problemi più complessi, ma in questo caso non possiamo non notare come almeno su queste tematiche dovrebbero essere i parlamentari a decidere per nostro conto visto che hanno tutti gli strumenti per capire, approfondire, decidere: altrimenti mi spiegate che ci stanno a fare?

Al tecnicisimo dei quesiti si è poi aggiunta una (non) campagna referendaria! Sono felice di essere stato tra i pochi a fare un pò di informazione con i nostri Podcast “BarLungo con Simone” nei quali abbiamo dedicato due puntate al referendum, ma è stato chiaramente una goccia nell’oceano del silenzio. I principali mass media hanno pressoché ignorato l’appuntamento ed anche i partiti hanno fatto a gara a non pronunciarsi in merito. Solo alcuni, tra cui i partiti dei due Matteo, hanno provato a raggranellare un pò di visibilità grazie ai quesiti ma, mentre la Lega ha poi gridato al complotto per la scarsissima partecipazione al voto, Italia Viva si è liquefatta in un silenzio che probabilmente fotografa al meglio la posizione del partito del Rinascimento Arabo: il nulla.

Se da un lato la difficile comprensione della materia referendaria non ha aiutato, dobbiamo però dire che lo scarso appeal è dovuto anche alla siderale distanza che i quesiti avevano rispetto alla vita quotidiana delle persone. I rincari stanno mangiando gran parte dei salari, il potere d’acquisto è in perenne discesa da anni, la guerra tra Russia ed Ucraina non sembra offrire alcuno sbocco di pace, il lavoro è sempre più malpagato e veniamo chiamati a votare sul modo in cui si eleggono i membri togati del CSM? Oppure sulla Legge Severino? Ma con tutti i problemi che la gente quotidianamente affronta, a metà giugno secondo voi i cittadini fanno le corse ai seggi per questi quesiti? Ed intanto le persone continuano a non poter decidere cosa fare della propria vita perché i quesiti che veramente potrebbero interessare, come l’eutanasia o la cannabis terapeutica, sono stati bocciati! Che paese è quello in cui si continua a non voler aiutare le persone ad avere una morte dignitosa ma nel contempo diamo la possibilità della sedazione profonda?

La verità è che negli ultimi anni la classe politica sta facendo di tutto per uccidere uno dei pochi istituti di democrazia diretta che ha regalato a questo paese scatti decisivi verso una vita più dignitosa in materia di diritti civili. Io non so quali possano essere le riforme che tengano in vita ed anzi rafforzino l’istituto referendario: alcuni parlano di circoscrivere l’area di intervento del referendum, altri di aumentare i requisiti necessari all’ammissibilità, quel che so è che il potere dei cittadini di intervenire direttamente in politica non deve essere diminuito, ma solamente disciplinato in modo che si allarghi la partecipazione anziché restringerla perché come cantava Giorgio Gaber

La libertà non è star sopra un albero

Non è neanche il volo di un moscone

La libertà non è uno spazio libero

Libertà è partecipazione