Con il fallimento di Silicon Valley Bank è in arrivo una tempesta perfetta? Ecco il contributo di Simone Pesucci.
In queste ultime ore è in corso una pandemia molto particolare. In effetti il virus che si sta propagando ha un nome molto comune e si chiama paura.
I suoi effetti colpiscono gli investitori, i correntisti ed in generale tutti coloro che hanno rapporti più o meno importanti con il mondo bancario. Come ogni pandemia che si rispetti (fortunatamente ne conosciamo pochissime), anche in questo caso è tutto partito da un paziente zero, ovvero la Silicon Valley Bank (SVB), una banca che si offriva di finanziare qualsiasi startup innovativa. Il meccanismo era semplice: creata la tua startup, aprivi un conto presso la SVB e questa ti finanziava da subito, mentre creavi il tuo business e provvedevi a cercare capitali da finanziatori o partner; quello che guadagnavi lo mettevi nel medesimo conto, così da ripagare il finanziamento iniziale. SVB aveva avuto moltissimo successo, con il risultato di trovarsi centinaia di migliaia di conti aperti e finanziati, molti dei quali con somme di gran lunga superiori a 250mila dollari. Questa cifra è il tetto entro cui il sistema centrale americano garantisce i correntisti in caso di default della banca.
Negli anni però, SVB ha fatto moltissimi investimenti rischiosi per avere marginalità e continuare a finanziare nuove imprese, ma con la crisi globale questi investimenti non hanno reso quanto sperato ed ha cominciato a vendere in perdita (cioè a vendere azioni ad un prezzo minore rispetto a quello di acquisto). Spargendosi la voce che le cose andavano male, moltissimi correntisti hanno cominciato a chiudere i conti ed a richiedere indietro le somme versate: SVB, non disponendo di tale liquidità immediata, è velocemente andata KO.
Di per sé la vicenda, seppur drammatica, dovrebbe essere ristretta all’area geografica americana ma in realtà così non è perché moltissime imprese che avevano i propri capitali in SVB operavano a livello globale ed avevano altri prestiti e linee di credito presso altre banche. A cascata quindi, prima i rispettivi titoli azionari e poi le altre banche si sono man mano trovate in difficoltà e il clima di preoccupazione è diventato panico!
Non solo: come detto, il sistema USA garantisce i correntisti dal rischio default fino a 250mila dollari mentre la cifra eccedente depositata sui conti corrente viene persa. Questo crack sta mettendo dunque a dura prova il tesoro americano, perché sono piovute decine di migliaia di richieste di risarcimento innescando un pericoloso effetto domino tanto che, per continuare con la metafora, la pandemia è giunta anche in Europa con il crollo delle Borse di questi giorni. Adesso la Federal Reserve sta valutando di rilevare in proprio i prestiti in modo da sostituirsi alla SVB e non dover quindi risarcire i correntisti, ma nel frattempo moltissime aziende, e con esse tutto l’indotto economico, i dipendenti e la galassia di altre imprese che ruotano attorno ad esse sono a rischio!
Questo effetto contagio è causato anche dalla migrazione di moltissime aziende che, in fuga da SVB, sono approdate in altre banche che, a loro volta per far fronte alla richiesta di liquidità, stanno registrando perdite enormi (la First Republic ha perso il 76% ad esempio!!!).
Joe Biden ha rilasciato un comunicato garantendo i correntisti sul fatto che la riserva americana restituirà le somme a tutti, anche coloro che avevano somme superiori a 250mila dollari mentre non aiuterà gli investitori, che dovranno accettare il rischio.
Basterà a fermare l’onda del contagio?
Questa storia è l’ennesima conferma del fatto che la sopravvivenza delle banche si regge non soltanto su dati matematici ed economici, ma anche su qualcosa di molto più aleatorio e soggettivo: la fiducia. I numeri dicevano che la Silicon Valley Bank era una banca solidissima anche dopo aver bruciato 2 miliardi di dollari, ma quella perdita ha fatto venire meno la fiducia dei correntisti, ed è bastato questo per far crollare in 48 ore una banca che fino a pochi giorni fa godeva di ottima salute. E infatti un’economista italiana (Loretta Napoleoni) ha detto che la sfortuna della Silicon Valley Bank non è stato il fatto di aver perso quei 2 miliardi di dollari (che rappresentavano un misero 1% del suo capitale), ma il fatto che quell’informazione sia trapelata alla stampa. Se i giornalisti non l’avessero scoperto i correntisti della Silicon Valley Bank non si sarebbero fatti prendere dal panico, i soldi avrebbero continuato a entrare nella banca e quel buco si sarebbe colmato da solo. (fonte: https://startupitalia.eu/193618-20230313-il-fallimento-silicon-valley-bank-si-poteva-evitare-con-meno-arroganza-e-previsioni-realistiche).
Onestamente non mi è piaciuto questo ragionamento, perché sembra quasi dare la colpa ai giornalisti di quanto è successo: i giornalisti fanno il loro mestiere, e se uno di loro scopre che la Silicon Valley Bank ha bruciato 2 miliardi di dollari non è che sta zitto perché altrimenti rischia di danneggiare la reputazione di quella banca. Sarebbe come se tu scoprissi che un giocatore della Fiorentina va a puttane, e tu decidessi di tenere la bocca chiusa perché altrimenti danneggi la sua reputazione: penso che non esista un giornalista al mondo che ragiona in questa maniera.
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Assolutamente d’accordo con te! La responsabilità di ciò che è successo è di una rincorsa sfrenata all’accumulo di ricchezza senza alcuno scrupolo! Ci mancherebbe altro che la colpa fosse della libera informazione…..
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In realtà gli investimenti della Silicon Valley Bank non erano stati affatto rischiosi. Al contrario, la banca aveva investito in titoli di stato, e questo di norma è un investimento molto sicuro.
Ad aver avviato il crac è stato un fatto totalmente estraneo agli investimenti della Silicon Valley Bank. Alcune aziende che avevano aperto un conto corrente in quella banca si sono trovate nella necessità di prelevare in grande quantità e tutte nello stesso periodo: questo ha generato una crisi di liquidità, che la Silicon Valley Bank ha cercato di risolvere vendendo i suoi titoli di stato. Il problema è che li ha venduti ad un prezzo più basso di quello a cui li avevano comprati, generando una perdita di 2 miliardi di dollari. Sarebbe stata una perdita trascurabile per una banca che di miliardi ne aveva 210, se non fosse stato che alcuni correntisti della Silicon Valley Bank, accortisi di questo buco, si sono fatti prendere dal panico e si sono precipitati a spostare in massa i loro soldi su altre banche, provocando la seconda crisi di liquidità nel giro di pochissimo tempo. E’ stato il colpo fatale.
Non essendo un esperto di economia, quanto ti ho appena raccontato non è farina del mio sacco, bensì un riassunto semplificato di quest’articolo: https://www.avvenire.it/economia/pagine/silicon-valley-bank-cosa-e-successo.
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Buongiorno Wwayne! Il mio amico Simone, esperto di diritto bancario, mi conferma che in realtà una parte dei soldi è stata persa come la racconta l’articolo che hai postato ma una buona parte anche per le speculazioni. I titoli di stato infatti, che nell’ultimo periodo sono stati venduti sotto prezzo per la folle rincorsa al rialzo dei tassi, hanno comunque un prezzo di partenza tale che non avrebbe portato ad un default del genere. Sono i titoli che si compra per speculazione che generano un buco enorme difficilmente sostenibile se tanti risparmiatori chiedono di rientrare di liquidità in uno stesso momento! È stata una serie di concause che ha portato al crac.
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