Diario di un cassintegrato (parte ottava)

Ci sono delle persone che hanno un dono: chi è un talento a praticare uno sport, chi venderebbe il ghiaccio ad un esquimese, chi ha l’arte della pittura, della recitazione o magari della comicità. Poi ci sono invece quelle persone che riescono a farsi voler bene da tutti trovando sempre il momento giusto per dire le cose o, perché no, il modo giusto di farlo. Ecco, se il buon Dio ha la capacità di elargire tale modo di fare, qualcuno al lavoro da me, quel giorno era assente.

Solitamente durante le feste natalizie le persone non solo cercano di ricaricare le batterie in modo da ricominciare il nuovo anno con uno slancio diverso, ma spesso si contornano degli affetti più cari per ritrovare quella serenità che le difficoltà di ogni giorno tende a minare. In questo 2020 se c’è un settore della vita che certamente non ha aiutato la tranquillità delle persone (oltre a quello sanitario) è quello del lavoro, soprattutto per persone come me che sono state messe in cassa integrazione o, peggio ancora, hanno perduto il posto. Ed allora quale miglior momento di comunicare che la tua cassa integrazione, che già va avanti da quasi due mesi, proseguirà fino a dopo Befana se non all’interno del messaggio di auguri di buon natale? Quale momento più fecondo per farti passare le festività natalizie con serenità ed allegria? Certo che bisogna proprio impegnarsi per non arrabbiarsi…ed io mi sono impegnato e dunque guardo e passo avanti!!!

La notizia del momento, questa sì meravigliosa, è infatti l’arrivo del vaccino. Finalmente, dopo mesi passati senza riuscire a vedere mai la luce in fondo al tunnel, le prime dosi sono arrivate e la campagna vaccinale ha avuto inizio il 27 dicembre in tutta Europa. Mettendo un attimo da parte il fatto che credo che il vaccino dovrebbe essere obbligatorio (lo ha detto perfino mio figlio di 9 anni mentre eravamo a tavola!!!), spero che adesso ci sia una campagna di sensibilizzazione e di informazione degna di questo nome che faccia capire a tutti che il vaccino è importante, sicuro e gratuito. Se vogliamo tornare alla normalità di un abbraccio, di un viaggio, di un concerto, di una partita allo stadio, non esiste altra strada che la vaccinazione di massa!! Non voglio mai più vivere un natale in cui mio figlio, ebbro di gioia per un regalo, prova a correre verso il nonno ma a pochi passi di distanza si ferma e dice: “nonno grazie, sono contentissimo ma purtroppo non ti posso abbracciare”. Ho appena passato un natale seguendo tutte le regole che mi sono state imposte, ma con una tristezza infinita nel cuore per aver dovuto smembrare la famiglia in più tronconi, tristezza che potrà essere cancellata solamente con il ritorno alla normalità.

Chiudo questo nuovo appuntamento, con il consueto consiglio che stavolta torna ad essere un libro. Le festività servono spesso anche a dedicarsi a quelle passioni che la vita frenetica di ogni giorno non ci permette di coltivare, ed allora troviamo un po’ di tempo per una buona lettura! Io durante queste feste mi sono immerso nuovamente in una raccolta di racconti che per un amante di Firenze non può mancare dalla propria libreria. “Fiorentini per sempre”, curato da Paolo Mugnai, contiene anche il mio primo racconto “Arno, specchio di ricordi”: visto che ormai natale è passato, nella calza della befana potreste infilarci un bel libro che parla di Firenze, questa splendida città di cui siamo follemente innamorati!

Alla prossima puntata!

Il talento – Parte prima

Alzi la mano chi tra di voi, appassionati ed amanti del gioco del calcio, non ha sognato almeno una volta di fare il calciatore. E, nel caso affermativo, chi non si è mai immaginato con la maglia numero 10 della propria squadra del cuore. Ma perché proprio con il 10, l’unico numero che ancora oggi racchiude il sogno di essere il più bravo di tutti? Perché il dieci (el Diez) è estro, talento, fantasia, imprevedibilità, sana follia calcistica.

Si è spesso dibattuto sulla natura e sull’origine del talento: citando dal vocabolario, la parola nasce dalla “parabola dei talenti”, che raffigurano e sono simbolo dei doni affidati da Dio ai servi. Già dall’etimologia della parola dunque, si parla di dono, di capacità fuori dal comune regalate da Dio. E’ indubbio che il talento vero, quello raro, è affidato a pochi: quanti sono i calciatori baciati dal talento puro? Eppure tutti i bambini che giocano ai giardini o nelle scuole calcio sognano di diventare i nuovi Messi, Pelè, Maradona, Ronaldo (quello vero), Ronaldo il portoghese, non certo Malusci, Piraccini o Chierico (con tutto il rispetto per i tre ultimi calciatori citati, ottimi professionisti). Anche nel campo delle arti, dai musicisti agli attori fino agli scrittori ed ai cantanti, tantissimi ci provano, tanti riescono a vivere del proprio lavoro, ma pochissimi diventano stelle indiscusse. La differenza tra il mediano ed il trequartista spesso è dovuta al talento, a quella capacità tecnica che permette a determinati calciatori di effettuare lo stesso gesto tecnico in condizioni di difficoltà mantenendo pulizia del gesto ed efficacia nell’esecuzione. Senza scomodare il gol di Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986 in Messico, ci sono calciatori che riescono a dribblare nello stretto anche di fronte ad un pressing asfissiante, ed altri che preferiscono passare la palla al compagno più vicino. Sono entrambi calciatori professionisti, ma uno è tecnicamente molto più dotato dell’altro.

Tutto ciò per dire che certamente la qualità sopraffina di alcuni è un dono (che poi sia divino oppure naturale lascio a voi la scelta), ma ciò che è certo è che il colpo di genio, la giocata a sorpresa è il motivo per cui milioni di persone guardano il calcio. La serie di articoli che comincia oggi, vuole analizzare il modo in cui negli ultimi anni la tecnica calcistica è stata soppiantata da un tatticismo esasperato e da una sempre maggior importanza della forza fisica nel gioco del calcio. Tale tendenza, studiata e sottolineata con colpevole ritardo, ha visto negli ultimi anni una risposta didattica in controtendenza che parte dalle scuole calcio e che cercheremo di approfondire.

Ciò che intanto possiamo certamente sottolineare è che per esprimere le proprie capacità ed il proprio talento, il bambino o il calciatore affermato ha bisogno del contatto con l’attrezzo, cioè con la palla. Senza un rapporto continuo tra il ragazzo ed il pallone, il calcio diventa solo un’esercitazione tattica o fisica che poco ha a che fare con l’essenza del gioco. Le occasioni di contatto con la palla erano certamente maggiori fino ad almeno 20 anni fa. Quando eravamo bambini noi, era più facile giocare da soli ai giardini con il pallone fino a sera: e non c’erano fasce di età (spesso si giocava con amici, cugini o anche bambini conosciuti per caso ai quali non chiedevamo certo quanti anni avevano), non c’erano casacche (al massimo di estate ci si distingueva facendo levare la maglietta ad una squadra), non c’erano arbitri, non c’erano genitori a dare consigli anche nelle partitelle ai giardini. Siamo cresciuti marziani? Siamo cresciuti con problematiche psicologiche? Ci sentivamo abbandonati? No…semplicemente ci sentivamo liberi…. liberi di esprimere la nostra personalità attraverso un meraviglioso sport di squadra per il quale bastava trovare 4 legni o degli zaini da sdraiare quali pali per le porte ed un pallone da poter calciare o parare!

Alla prossima puntata!!