BarLungo con Simone – Politica che passione!

Domenica scorsa le primarie del Partito Democratico hanno incoronato Elly Schlein nuova segretaria ribaltando quello che era stato il risultato della consultazione tra i soli iscritti. Dopo aver analizzato con due articoli, il primo scritto da me e l’altro da Simone Pesucci, i motivi dell’inaspettata vittoria, adesso cerchiamo di guardare al futuro: quale sarà il profilo del PD a guida Schlein? E quali le difficoltà di gestione?

Buon ascolto!

Soffia il vento ma sarà Bufera?

Ricevo e pubblico molto volentieri il contributo di Simone Pesucci in merito all’elezione di Elly Schlein quale nuova segretaria del Partito Democratico.

PREMESSA:

Lunedì mattina, dopo l’esito delle primarie che hanno incoronato Elly Schlein nuovo segretario del Partito Democratico, ho scritto una riflessione in parallelo con Luca per questo blog. Non avevo letto la sua, che comunque immaginavo giustamente entusiasta, ma quando gliel’ho inoltrata, nel primo pomeriggio, il primo commento è stato “certo che la detesti proprio…”. Se Luca ha percepito nel mio scritto questa avversità nei confronti del nuovo segretario PD, evidentemente deve aver letto cose che non intendevo dire. Ho quindi fatto una serena autocritica, ci ho dormito sopra e ho deciso di riscrivere le mie impressioni, contando stavolta fino a 10.

Dunque, ricominciamo. Domenica sera Elly Schlein ha vinto le primarie del Partito Democratico: il voto è andato in controtendenza rispetto ai risultati dei voti di circolo, ovvero dei tesserati, che avevano espresso una netta preferenza per Stefano Bonaccini. Schlein è la prima donna segretario del PD ma probabilmente è anche la persona che ha fatto intercorrere meno tempo tra la sua iscrizione al partito (12 dicembre 2022) e la sua vittoria. Si perché la nuova segretaria aveva da 7 anni lasciato il Partito Democratico aderendo con Pippo Civati a Possibile, poi lavorando a fianco dello stesso Bonaccini in Emilia Romagna, eletta con una lista civica a sostegno di quest’ultimo. Elly Schlein aveva lasciato il Partito Democratico dopo anche l’esperienza di OccupyPD (una protesta interna per  la mancata candidatura di Romano Prodi a Presidente della Repubblica – non certo la cosa più di sinistra che mi verrebbe in mente) e soprattutto in dissenso con la linea politica di Renzi definendola “di centro-destra”. La neo segretaria vanta un curriculum di tutto rispetto: laurea con lode in diritto costituzionale, impegnata in politica da sempre, già europarlamentare, sostenitrice di Obama e molte altre qualità che, quando le professava Letta facevano schifo, ma scritte sulla pagina Wiki di Elly Schlein piacciono molto. Disclaimer: anche se sembra ironico, apprezzo realmente il curriculum di questa giovanissima ragazza perché effettivamente è una attiva in politica da sempre, una che ha fatto la “gavetta” come pochissimi altri politici attuali.

Fondamentalmente però i valori “di sinistra” che tutti applaudiamo in lei, non sono tutti realmente tali nel senso stretto del termine: sembra una banalità dirlo, ma la battaglia per i diritti civili, per la parità tra uomini e donne, per i diritti lgbtq+ sono tutti valori propri del compianto partito radicale guidato anch’esso da una donna. E anche la lotta per l’ecologia è una battaglia non di sinistra, bensì dei Verdi. Che poi, almeno per me, se sei una paladina dell’ecologia e antinucleare, sei al pari di un medico novax, spiace dirlo con l’aggravante anagrafica e culturale (cioè sei troppo giovane e intelligente per essere ancora legata a questioni apertamente antiscientifiche!). Ha anche una visione opaca sulla gestione del conflitto in Ucraina visto che ha manifestato una manciata di mesi fa contro l’invio delle armi, ma oggi è a favore del sostegno a questo popolo… insomma un pò come la Meloni che si è scoperta atlantista il 26 settembre. Questi valori, un po’ come l’antifascismo, non sono valori “di sinistra” ma sono valori universali su cui sono state fatte, nei decenni passati, battaglie importanti da tutti i partiti, salvo poi essere “assorbiti” da quelli di sinistra che li hanno aggiunti ai propri. Poi, ma non voglio infierire, se una persona “di sinistra” non riesce a rispondere alla domanda “è comunista?” con un “si, certo!” ma con un balbettante “sono nata nel 1985”, allora è stata semplicemente votata l’ennesima meno peggio; perché se viviamo in un paese in cui il presidente della camera rivendica senza alcun problema il proprio anti-antifascismo e si tiene i busti del duce in casa, mentre una donna non può dire di essere portatrice anche di ideali comunisti (che in Italia non hanno mai portato danno proprio perché privi della matrice estremista e antidemocratica che altrove li ha stravolti e resi aberranti), per dirla con Aldo, Giovanni e Giacomo, “la situazione si sta ribaltando”.

Ecco, già lo sento Luca che mi scrive che questo articolo è addirittura peggiore di prima.

Allora cerco di spiegare i motivi per cui mi posso solo limitare a sperare che nessuno resti troppo deluso dall’elezione di Elly Schlein, non tanto per lei, che secondo me invece farà benissimo, ma per l’essersi messa alla guida di un mezzo non suo, che non risponderà mai ai suoi comandi e appena possibile la lascerà a piedi. Il problema, come sempre in questi casi, sono le aspettative che riponiamo in questo risultato storico, che storico non è per il meccanismo stesso delle Primarie del PD. Queste sono infatti un’aberrazione antidemocratica e forse una delle peggiori fesserie fatte da questo partito per autoassolversi dal non essere mai coerente con se stesso. Pensateci: è l’unico partito che si fa eleggere il proprio segretario da tutti gli altri, e non già dai suoi stessi elettori! Le Primarie infatti sono aperte a chiunque, anche a non elettori del PD; un po’ come se volessimo nominare un nuovo presidente dell’Ucraina e farlo votare da tutto il mondo, e non soltanto dal popolo Ucraino (vi lascio immaginare da soli lo scenario possibile), sostenendo che sia una scelta “molto più democratica”.

I circoli, “la base” del PD, avevano scelto un altro candidato: eppure ora devono tenersi un soggetto che non volevano, portatore di una corrente che nel PD, semplicemente, non esiste più, in nome di una sorta di idea malata di democrazia. Il termine democrazia però è riferito alla possibilità che il governo – una qualche forma di leadership – sia nominato dal popolo: la nostra democrazia parlamentare ad esempio è una forma di democrazia indiretta, poiché noi eleggiamo rappresentanti (i parlamentari) che hanno poi l’incarico di scegliere e nominare il governo. Le primarie del PD non sono una forma di democrazia, perché mirano ad eleggere un segretario e, finché la Crusca non viene a dirmi il contrario, faccio fatica a considerare tale figura quale “capo” di un partito. Guardiamo poi cosa significa, statuto alla mano, fare il segretario del Partito democratico. Leggendo attentamente l’art. 5 comma 1 dello statuto del PD, vediamo che: “Il Segretario nazionale rappresenta il Partito, ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale, l’indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione ed è proposto dal Partito come candidato all’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri”. Quindi il segretario è un rappresentante della leadership elettorale e istituzionale, senza dettare la leadership. Ed esprime l’indirizzo politico non suo, ma della piattaforma approvata al momento della sua elezione! Ergo, se non mi difetta la logica, Elly Schlein da domani deve seguire le indicazioni espresse dall’Assemblea nazionale, che, lo ricordo, ai sensi dell’art. 6 comma 4 dello Statuto, “ha competenza in materia di indirizzo della politica nazionale del Partito, di organizzazione e funzionamento di tutti gli organismi dirigenti nazionali, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte delle Unioni regionali e delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano”. Insomma votate chi vi pare, ma il Segretario dovrebbe esprimere solamente l’indirizzo politico dell’assemblea nazionale. Trovo questa affermazione pleonastica in un Partito che ha la parola “democratico” nel suo nome, ma evidentemente non è così, se tutti coloro che hanno votato Elly Schlein auspicano un cambio di rotta del PD. Perché delle due l’una: o veramente Schlein è in grado di dirottare il partito verso idee diverse da quelle che fino ad oggi ha sostenuto (e quindi sostanzialmente non è un partito democratico ma un soggetto populista che prende le vesti che gli rifila una platea di persone più ampia del suo stesso elettorato), oppure Schlein non conta granché, se non come un generico segnale che pure a sinistra volevano avere una giovane donna come portavoce; non per le sue idee, ma per la sua identità. Che ci può pure stare, per carità ma a mio avviso c’è anche una terza via, quella del bieco realismo.

Il Segretario del PD è una figura assai vicina al povero Sig. Malausséne di Pennac: è il Capro espiatorio che serve al Partito democratico per avere qualcuno a cui dare la colpa quando e se le cose dovessero andare male. Lo è sempre stato, da Bersani a Renzi (con lui anche meglio, attribuendogli letteralmente tutto ciò che di sbagliato il PD ha mai fatto durante il suo governo, quasi come non fosse stata roba votata da tutti gli altri esponenti), da Zingaretti a Letta e ora Schlein. Così, se detterà una linea guida più forte, sarà tacciata internamente di non essere democratica, mentre se sarà piegata dalle mille correnti contrarie e farà peggiorare i consensi elettorali, sarà lei l’unica causa di tale disfatta. In quest’ottica, il buon Bonaccini ha più ragioni per festeggiare la sconfitta che Schlein di brindare alla vittoria, perché si è scansato l’accantonamento mediatico e potrà sempre contare sul gradimento di cui gode come presidente di regione.

Riassumendo il senso di questo articolo, ribadisco che il problema non è assolutamente Elly Schlein, ma l’aspettativa di un cambio di rotta di un partito politico che dovrebbe cambiare ideologia perché il suo segretario gliela impone. Vedo che molti auspicano che nessuno metta i bastoni tra le ruote al nuovo segretario, lasciandola lavorare (ma in passato è sempre successo, anzi la stessa Schlein lo ha fatto, di manifestare il dissenso rispetto alla linea politica del segretario abbandonando il partito…. non vedo perché ora dovrebbe andare diversamente). Un partito politico deve essere il faro dei propri elettori, non il contrario: se questi si rivedono nell’ideologia che porta avanti, lo votano; altrimenti vanno altrove. Se è il partito che deve cambiare idea per compiacere il proprio elettorato, quel partito è populista.

E non si chiama partito, si chiama Movimento.

Ma oggi limitiamoci a festeggiare quella che per molti è una vittoria, vedendo emergere una figura giovane e nuova, con le sue speranze e le sue idee, alla guida di quel vecchio macinino che è il Partito democratico.

Auguri Elly!

Un esito imprevedibile, mai visto: Elly Schlein è segretario del PD!

E’ stata una svolta storica, incredibile, del tutto inaspettata anche dai più grandi istituti demoscopici che ancora una volta hanno dimostrato di non saper più fotografare il paese reale.

Un paese reale che, attraverso la partecipazione alle primarie di più di 1 milione di persone, ha deciso di voltare pagina in maniera roboante, quasi come se non fosse più possibile cercare un’operazione di maquillage, ma fosse necessario un salto in avanti, forse nel buio, ma che cercasse di indicare una strada nuova, quella di Elly Schlein. E’ stata la campagna elettorale della prima volta: quella del rovesciamento del risultato tra i circoli ed i gazebo (con il voto degli iscritti Bonaccini aveva più di 10 punti di vantaggio), di un segretario finalmente donna, di una under 40 alla guida, di una donna perlopiù bisessuale che mette al centro del proprio programma i diritti del lavoro, quelli sociali e la lotta al cambiamento climatico.

In tutte queste prime volte sta il fascino e contemporaneamente il rischio della sfida di Elly Schlein, una sfida che prova, forse per l’ultima volta, a ricostruire una comunità intorno ad una piattaforma valoriale che troppe volte negli ultimi anni è stata piegata al mero interesse di governo. E’ chiaro che sarà dura da digerire per tanti signori delle tessere, per tanti capi bastone un segretario donna, femminista, ecologista, bisessuale, ex europarlamentare, una di occupy PD uscita insieme a Civati per creare Possibile, adesso deputata dopo l’esperienza in regione Emilia Romagna quale vice presidente proprio di Bonaccini. Schlein è riuscita a fare breccia sugli elettori, più che sugli iscritti, stanchi di un Partito Democratico ormai prono ai soli interessi di governo, un partito del potere che si era dimenticato da troppi anni quale fosse il proprio blocco sociale di riferimento, una macchina che aveva come unico obiettivo quello di spartirsi le poltrone del potere governando con chiunque ed indipendentemente da ciò che veniva messo in atto, indipendentemente dai valori o dalle ricadute sulle fasce più deboli della società.

Sono chiari però fin da subito anche le difficoltà ed i rischi di questa scelta così dirompente. Innanzitutto dobbiamo ricordare che Elly Schlein è stata votata più dai non iscritti ai gazebo che dagli iscritti al PD che hanno votato nei circoli. Inoltre il nuovo segretario fino a due mesi fa nemmeno era tesserata del partito, e questo, sommato ai voti esterni al partito, oltre ad essere un’oggettiva anomalia, rischia di costituire i piedi d’argilla di un segretario azzoppato. I delegati del partito, i gruppi intermedi, i tesserati, potrebbero non sentirsi rappresentati da una persona che è stata tra le più aspre oppositrici delle politiche liberiste e riformatrici del periodo renziano: siamo sicuri che tutti coloro i quali invocavano la collaborazione nel caso di vittoria di Bonaccini, siano pronti ad offrirla adesso? Ed inoltre, le varie anime del PD, soprattutto quelle più vicini agli ex DC, saranno pronte a mettersi a disposizione di un progetto che ha parole marcatamente di sinistra? Ciò che si può dire è che, avendo di fronte qualche anno di opposizione, avere un segretario che segni maggiormente le differenze dal governo in carica (anziché fare i complimenti al premier Meloni come fatto da Bonaccini), che parli finalmente una lingua diversa, rivolta ai giovani ed alle donne, che sia più schierata quando si parla di diritti civili, sociali e del lavoro, potrebbe aiutare a far tornare a battere il cuore ad un popolo ormai disperso, senza piazza e senza governo.

Altri nodi però verranno presto al pettine, come quelli relativi al tema delle alleanze. Con Schlein, è molto probabile un riavvicinamento non solamente all’Alleanza Verdi-Sinistra ma anche al Movimento 5 Stelle, mentre sembra più difficile un dialogo col Terzo Polo che ha già iniziato ad ammiccare all’ala più riformista del PD: riuscirà Schlein a tenere unito il partito?  E sul territorio, quasi tutti i governatori ed i sindaci più importanti che si erano schierati con Bonaccini, ad esempio De Luca a Giani, saranno leali adesso che il loro candidato ha perso? Si apriranno poi tante questioni nelle diverse regioni, basti pensare alla nostra Toscana: con Bonaccini erano schierati Giani, Nardella, Parrini e Bonafé, insomma tutto l’apparato che ha fatto il bello ed il cattivo tempo nella nostra regione negli ultimi anni. Ci aspettano mesi di fibrillazioni oppure tutti saranno pronti a lavorare per il bene del partito?

Ne parleremo ancora, qui sul blog con articoli e magari con un podcast dedicato, perché l’unica cosa di cui sono certo è che Schlein si sia presa una brutta gatta da pelare ed allora….

Buon lavoro segretario!

Un nuovo PD?

Il tempo corre veloce, la politica ingoia leadership vere o presunte, scompagina alleanze, interpreta le pulsioni del paese: ma una certezza c’è, attraversa tempi, mode ed esperienze ed è la rissa continua tra le correnti del PD!

Un partito che era nato per unire due famiglie politiche italiane ed europee nel segno del riformismo e di un centro sinistra moderno, in questi anni ha fagocitato segretari pur facendo parte di quasi tutti i governi, ha aperto e chiuso esperienze di coalizioni, ha cavalcato l’illusione della vocazione maggioritaria prima, quella della rottamazione poi, per non parlare del semi presidenzialismo o di altre decine di temi. Ciò che invece non ha mai avuto, che è sempre mancato, è un progetto di largo respiro, un’idea di sistema paese, un orizzonte sociale da costruire ed in cui credere. E’ mancato insomma un disegno che raffigurasse l’Italia di domani, che non si fermasse alla lotta per l’incarico regionale o nazionale, che non usasse il partito come un autobus per arrivare allo scranno. E’ sembrata una semplice rincorsa verso il posto al sole che desse visibilità, consenso, potere senza che si volesse utilizzarlo per il bene della comunità. Un partito che ha dato l’impressione di un continuo riposizionamento volto solamente alla conquista di posti di governo indipendentemente dalle alleanze, dai candidati premier, dagli alleati.

Dopo l’oggettivo disastro delle elezioni politiche del 2018, il PD aveva scelto Nicola Zingaretti come nuovo segretario del partito. Il Governatore della Regione Lazio, da sempre più vicino all’ala sinistra, ha oggettivamente riportato il PD al centro dello scenario politico del paese con scelte anche azzardate. Basti pensare alla piroetta necessaria a far partire il Governo Conte 2, al mantenimento di alcuni dei parlamentari più vicini a Renzi nei ruoli apicali di partito, alla corsa per le regionali in cui ha iniziato a stringere anche patti territoriali con il Movimento 5 Stelle. E’ chiaro a tutti però che Zingaretti ha pagato il logoramento da parte di un segmento sempre più consistente del proprio partito soprattutto dopo la caduta di Conte e l’insediamento di Draghi, altro passaggio in cui la posizione del PD è apparsa ondivaga e poco decisa. Le dimissioni di Zingaretti sono però state un atto coraggioso di un uomo che ormai era diventato il parafulmine per qualunque tipo di problema sfiorasse il centro sinistra ed il paese. Ecco allora che la scelta del Governatore ha messo a nudo tutte le tattiche che si muovevano dentro e fuori dal partito.

E’ indubbio che la caduta del Governo Conte abbia terremotato il sistema politico italiano, anche se forse non nella direzione che Renzi ed i suoi avrebbero auspicato. Da una parte infatti, i 5 stelle sono ormai diretti verso la guida dell’ex premier Conte, nemico giurato del fu rottamatore, mentre il PD ha scelto come ancora di salvezza proprio quel Letta che fu pugnalato alle spalle da Renzi e non solo, nell’ormai lontano 2014. La scelta di Letta, accolto da tutti come possibile salvatore della patria, ha avuto conseguenze dirompenti nelle prime settimane. Il neo-segretario ha innanzitutto posto come centrale fin da subito la parità di genere, questione negli ultimi tempi dimenticata, come dimostrato anche dalla scelta di tre ministri PD uomini nel governo Draghi. Grazie a questa giusta battaglia, Letta ha avuto buon gioco a rinnovare l’organigramma del partito con due vice segretari giovani, rappresentativi del centro e della sinistra, un uomo ed una donna: Irene Tinagli, appartenente all’ala più liberaldemocratica, e Peppe Provenzano, ex Ministro del Sud, più vicino alle tematiche sociali e del lavoro. Oltre a ciò, Letta ha fissato subito in agenda appuntamenti importanti che puntano alla costruzione di un’alleanza larga che possa essere competitiva e pronta nel momento in cui ci saranno le prossime elezioni amministrative, quelle politiche, ma che risulti anche decisiva nella scelta del nuovo Presidente della Repubblica. E l’orizzonte all’interno del quale il neo segretario del PD si è mosso è stato quello della maggioranza che ha sostenuto il Conte 2 ed ha cercato di formare il Conte ter: ha già incontrato Speranza, ha parlato diffusamente con l’ex Premier Conte, ma non ha ancora incontrato Renzi. E la distanza dall’ex scout non accenna a diminuire anche nella volontà di cambiare i capigruppo di Camera e Senato. A differenza di Zingaretti che aveva lasciato andare avanti Del Rio e Marcucci, elementi di spicco del PD turborenziano ed esponenti della corrente denominata Base Riformista, Letta ha deciso di cambiare e per farlo ha utilizzato di nuovo l’argomento della parità di genere con due donne al comando. Ecco allora che subentreranno Simona Malpezzi al Senato, esponente della stessa corrente, ed un’altra donna, forse Debora Serracchiani alla Camera: mentre Del Rio, con la consueta cortesia istituzionale, ha rimesso subito il mandato di capogruppo nelle mani del segretario, più difficile è stato per Marcucci rinunciare al ruolo che gli aveva affidato Renzi.

Insomma la rivoluzione morbida è in atto, Letta si è messo in cammino forte di un mandato che il partito gli ha affidato quasi all’unanimità. Anche stavolta però, sembra che l’unità ritrovata sia pressoché solo di facciata tra personaggi che cercano di non mollare l’osso, altri che sembrano continuare a cercare sponde fuori dal proprio recinto,  altri ancora che sono già pronti a ricominciare con i loro distinguo. Credo che per il Partito Democratico sia l’ultima occasione di rimettersi in carreggiata, ma servirà innanzitutto tornare ad ascoltare la base non solamente durante le campagne elettorali e sarà necessario soprattutto ricominciare ad interpretare la società per offrire un’idea di futuro, un’idea di come si vuole che sia l’Italia di domani. Avere insomma la voglia e l’ardire di dare risposte non solamente alle geometrie parlamentari, ma soprattutto alla ripartenza post Covid, alla crisi economica, ai problemi del lavoro, alla parità salariale, ai problemi che i nostri bambini ed i nostri giovani avranno dopo aver perso più di un anno della propria vita.

Insomma, il PD che Italia immagina? Che Paese sogna? 

Draghi e pecorelle

Sembrano passati anni ed invece è solamente poco più di una settimana. Ricordate? Sembrava una crisi di governo irrisolvibile, il mandato esplorativo al Presidente della Camera Fico, il giro di consultazioni, il tavolo programmatico, i veti incrociati insuperabili. Poi la mossa del Presidente Mattarella ed il nome di Draghi, più volte evocato negli ultimi anni come spauracchio, finalmente a prendersi la scena!

E tutto quello che sembrava insuperabile come per magia non esiste più. Non ci sono più le divergenze tra europeisti e sovranisti, non c’è più la diatriba tra quelli del “Sussidistan” e quelli della flat tax, tra chi pensa che Conte sia un vulnus democratico e chi viola la democrazia diretta….

Puff…Magia!

Dal momento che il programma di governo è ancora nebuloso, e la squadra di Ministri non c’è, mi sembra però opportuno ricordare le varie piroette alle quali stiamo assistendo: Nadia Comaneci al cospetto arrossirà!

  • Lega (forse di nuovo Nord): chi non si ricorda i proclami a tutta pagina, a tutto social del Capitano e dei suoi sodali? No all’Euro, Italexit, i migranti devono essere lasciati in mezzo al mare perché l’Europa non ci aiuta, il Recovery Fund è una trappola e dunque prendiamo solamente i soldi a fondo perduto! Folgorati sulla via di Draghi, abbiamo invece scoperto un Salvini che accetta i valori di riferimento dell’Europa, riconosce la valenza dei regolamenti europei di politica migratoria, addirittura arriva a votare, in dissenso col proprio gruppo in Europa, il Recovery Plan! Che lo zoccolo duro della Lega, fatto da Giorgetti, Zaia e la borghesia del Nord Italia gli abbia fatto suonare la campanella di fine ricreazione?
  • Italia Viva (nel paese non lo so, ma al Senato sicuramente si!): il MES è assolutamente necessario per poter vaccinare le persone e la nostra fiducia nel governo Conte dipende innanzitutto dalla richiesta di attivarlo, no ai tecnici che usurpano le prerogative del Parlamento nella progettazione e gestione dei soldi del Recovery! Una delle poche cose trapelate sul nuovo programma di governo è che non verranno richiesti i fondi del MES, e mi sa che Draghi non è più nemmeno un tecnico!
  • Partito Democratico (anche se la base poi se la sono dimenticata da un pezzo): non ci sono alternative al governo politico guidato da Conte, l’unica altra opzione è il voto! Vabbè dai, Draghi lo accettiamo ma saremo l’argine alle forze sovraniste con cui non entreremo mai al governo! Ah già ma Salvini adesso è diventato il mago di Ventotene!
  • Movimento 5 Stelle (forse anche meno di 5): da noi 1 vale 1, anche se forse poi Grillo e Di Maio valgono un pochino di più, mai con i banchieri che hanno salvato MPS e non solo, mai con le lobby, ma con i poteri forti….o forse qualche volta, si ma per poco tempo…. E poi se si arrabbia Di Battista magari facciamo votare su Rousseau…. Solo però quando siamo sicuri che vinca la linea di Grillo e Di Maio e nel frattempo mandiamo l’orsacchiotto pacioccone Crimi a prendere schiaffi.

Questa è solamente una piccola parte delle esternazioni incredibili che tutti i partiti dell’arco costituzionale, tranne al momento Fratelli d’Italia anche se con alcune sollecitazioni interne, si sono rimangiate nel breve volgere di una settimana. Credo che Draghi sia una grandissima personalità, incredibilmente competente e fortemente rispettata in tutto il mondo. Nonostante ciò, anche il Professore si dovrà confrontare con un sistema parlamentare all’interno del quale le pulsioni dei partiti torneranno fuori non appena ci si avvicinerà alle prossime elezioni politiche. La speranza è dunque che Draghi riesca a fare bene ed a farlo presto perché nel frattempo ci saranno anche le elezioni del nuovo Presidente della Repubblica. Chi fa però parallelismi tra la situazione attuale e quella che dovette affrontare Monti, fa un grande errore di valutazione poiché non contestualizza gli esecutivi all’interno del relativo momento storico. Il governo Monti dovette fronteggiare una tempesta sui mercati ed una grande crisi economica cercando di tagliare e recuperare soldi. Draghi ha invece come obiettivo primario quello di spendere e spendere bene gli oltre 200 miliardi di Euro che arriveranno dall’Europa, non proprio la stessa cosa.

Non so come andranno a finire le consultazioni, quale governo nascerà, né con quali forze politiche all’interno. Ciò che so però, è che il paese è allo stremo sia dal punto di vista economico che dal punto di vista psicologico ed allora voglio rivolgere un appello a quelle forze politiche che ci hanno trascinato nella crisi più assurda della storia e nelle consultazioni più farlocche del mondo:

tacete, finitela di starnazzare, il volante non è più nelle vostre mani e non spetta più a voi guidare. Se volete e ci riuscite, magari iniziate a pedalare, sennò almeno non mettete i piedi a terra, non frenate, almeno quello credo ce lo dobbiate!