Diario di un cassintegrato (parte quinta)

Altro giro, altra corsa! Altra settimana, altre esperienze!

Dopo che ci eravamo lasciati al termine della prima settimana senza aver lavorato ma nella speranza di una Toscana nuovamente arancione, ci ritroviamo con alcune certezze ed altri dubbi. Mentre per ciò che concerne la colorazione della nostra regione non abbiamo ancora la risposta definitiva, dal punto di vista lavorativo sono ormai entrato nella routine di turnazione tra colleghi e dunque, dopo la scorsa settimana passata senza lavorare, questa è stata contrassegnata dall’alternanza tra due giorni di lavoro e tre di cassa integrazione. Tutto sommato stavolta la cosa mi ha fatto quasi comodo visto che, come ricorderete, i miei due figli hanno dovuto sottostare al provvedimento di quarantena e dunque essere a casa mi ha permesso di seguirli senza gravare su mia moglie che invece continua fortunatamente a lavorare.

La quarantena però, dopo due lunghissime settimane è finalmente finita e dunque siamo tornati a scuola! E’ stata una vera e propria liberazione: dopo la chiusura dovuta al lockdown di tutti gli istituti fin dal mese di marzo, i bambini erano riusciti finalmente a ritrovare un equilibrio mentale, psicologico e fisico nel ciclo vitale tra la scuola, lo sport, i compiti, gli amici, i giardini. Dapprima è venuto a mancare lo sport, valvola di sfogo fondamentale che è stato chiuso in concomitanza con la proclamazione della Toscana quale zona rossa, e poi la scuola con la quarantena. I bambini sono dunque rimasti senza ciò che di più caro hanno: la socialità, gli amici, le relazioni, le emozioni! Poter tornare a scuola serenamente è stata una vittoria fantastica che ci riconsegna una sorta di normalità non si sa quanto precaria e temporanea. Le due settimane chiusi in casa hanno rappresentato un banco di prova importante per i bambini e per noi genitori, ma fortunatamente il grande legame esistente tra i due fratelli ci ha permesso di venirne fuori senza ulteriori traumi.

Non è stata però una settimana dedicata solamente a fare da maggiordomo ai figlioli (come dice il mio amico Leo) ma anche a pensare: nelle mie lunghe camminate o nelle mie più brevi corse, il cervello viaggia sempre ed allora mi sono convinto che sia arrivato il momento di reinventarsi perché davvero più niente sarà come prima. Sul lavoro ad esempio, sarà necessario guardare agli obiettivi da raggiungere con occhi nuovi e diversi. Non si può pensare, come invece ancora accade, di utilizzare i metodi lavorativi o i mezzi tecnologici anche solamente di cinque anni fa: dobbiamo usare i nuovi media per lavorare meglio e, perché no, lavorare meno!! La tecnologia a nostra disposizione ormai, ci permette di fare tantissime cose impiegando metà del tempo che serviva prima. Smettiamo però di pensare che quel tempo risparmiato debba essere occupato necessariamente da altri impegni o da altri obiettivi da raggiungere:

il tempo risparmiato dedichiamolo a noi stessi, a chi ci vuole bene, ai nostri interessi!!

In questi giorni ad esempio,  siamo tutti a fare polemica in merito al cenone di Natale o ai festeggiamenti dell’ultimo dell’anno. La verità è che la stragrande maggioranza delle persone che incontriamo in queste occasioni, le vediamo SOLAMENTE per le feste comandate!! Probabilmente è perché non ci interessa frequentarle più assiduamente, ma quante altre persone invece vorremmo  vedere più spesso? Ed allora, perché non utilizzare le nuove tecnologie per inventare nuovi metodi di lavoro che liberino il tempo da dedicare a noi stessi? Ecco, questo potrebbe essere uno dei migliori propositi per il 2021 e per gli anni a venire: ricostruire una società intorno alle persone anziché intorno al profitto!!

Voglio però dedicare le ultime righe di questo articolo ad una delle persone che mi ha maggiormente emozionato in campo sportivo nella mia vita. In questo maledetto 2020 se n’è andato anche Diego Armando Maradona, ed allora senza fare troppi giri di parole, vi invito a vedere l’intervista che Andrea Scanzi ha fatto il giorno della morte ad uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani, nonché amico di Diego, Marino Bartoletti. Poiché ogni settimana vi consiglio qualcosa, stavolta tocca a questa chiacchierata in cui l’interlocutore può parlare senza essere continuamente interrotto e, soprattutto, parla di cose vissute in prima persona con affetto, amicizia, ma anche con quel briciolo di amarezza che la morte di Diego ha lasciato a tutti. Ecco il link https://www.youtube.com/watch?v=CinPFjYwoig

Alla prossima puntata!

Il talento – parte quarta

A pochi giorni dalla scomparsa del calciatore dotato del più grande talento della storia del gioco, risulta difficile descrivere con le parole come poter aiutare i bambini a svilupparlo attraverso gli allenamenti e le metodologie.

Se a qualcuno interessa, io penso che Diego Armando Maradona sia stato il più grande calciatore in assoluto per due motivi fondamentali. Il primo è che, a differenza di Pelé (perché è con lui che si gioca il gradino più alto del podio), ha giocato e vinto nei due continenti più importanti per il calcio: ha fatto grande il Boca Juniors, dopo essere nato nell’Argentinos Juniors, in Sudamerica, poi si è trasferito in Europa ed ha vinto con il Barcellona (missione fattibile), ma soprattutto ha trionfato in Italia ed in Europa con il Napoli, facendo conoscere quella città e quei tifosi al mondo intero. Il secondo motivo che lo rende immortale, è che ha vinto un mondiale sostanzialmente da solo in Messico nel 1986. Mentre Pelé giocava in una nazionale che rappresentava l’elite assoluta del calcio in quel momento e che forse avrebbe vinto anche senza O’ Rey, l’Argentina dell’86 non sarebbe probabilmente arrivata nemmeno ai quarti di finale. Maradona ha fisicamente preso per mano una squadra, una nazionale, un paese, un popolo.

Lasciando da parte il più grande, torniamo  a parlare dell’inizio del cambiamento culturale che avviene negli anni 90 in Italia nelle metodologie di allenamento delle scuole calcio. Tale svolta è sostanziale oltre che filosofica poiché cambia l’approccio dell’allenatore nei confronti del bambino. Innanzitutto il mister o l’allenatore inizia a chiamarsi istruttore poiché non ha polli da allevare, ma bambini da formare attraverso un’attività motoria che deve essere, soprattutto nella fascia dei bambini più piccoli, assolutamente ludica. Ciò che cambia  il volto alle scuole calcio che dapprima recepiscono questo scatto culturale, è il rovesciamento del metodo di apprendimento del bambino: si passa dal metodo deduttivo al metodo induttivo o comunque, si inizia a miscelarli in modo più deciso. Io credo fermamente all’alternanza dei due metodi perché penso che, ad esempio nell’allenamento del gesto tecnico, sia molto importante l’esempio dell’istruttore nella cura e nella ripetizione del gesto. Ma siamo sicuri che quel gesto tecnico sarà poi utilizzato dal bambino prevalentemente in situazioni da fermo e, magari, senza avversario? La chiave di volta è capire che il calcio è uno sport di situazione e dunque il bambino deve essere preparato ad interpretare quel gesto tecnico nelle condizioni più disparate. Ma è possibile per un istruttore preparare il bambino ad ogni singola situazione del gioco del calcio, o almeno al maggior numero di esse? Credo proprio di no! Ed allora, una volta che il bambino avrà imparato la meccanica del gesto, sarà fondamentale fargli sperimentare direttamente l’utilizzo di quei gesti tecnici nelle situazioni di gioco. Il metodo induttivo permette al bambino di saper gestire l’arresto della palla o la sua conduzione in situazioni diverse perché, attraverso l’esperienza di gioco, riconosce le difficoltà ed interpreta la situazione a seconda dell’esperienza vissuta e dello spirito di adattamento che tutti noi abbiamo.

Ecco allora che la libera esplorazione, la libera interpretazione dei bambini rispetto ai gesti tecnici, è certamente un percorso più lungo e tortuoso ma che lascia segni più duraturi poiché, una volta che il bambino è in grado di riconoscere la situazione, riesce anche ad individuare la soluzione. La scuola calcio, poiché non deve rincorrere i risultati, dovrebbe proprio mirare alla crescita individuale del bambino sia dal punto di vista tecnico, che motorio ma soprattutto cognitivo ed il metodo induttivo è quello che lo aiuta maggiormente all’apprendimento!

Tutto ciò di cui abbiamo parlato però, non può avvenire senza che i bambini possano toccare e curare l’attrezzo con la forza della propria età. Tanto per tornare nuovamente indietro ai miei primi anni da “calciatore”, ricordo ancora che giocavamo con il pallone regolamentare, quello del n. 5 anche a 6 anni!! Uno dei ricordi più nitidi che ho di quegli anni, è il momento in cui iniziava a piovere ed il campo diventava piano piano una risaia (altro che erba sintetica!!!): il pallone, inzuppandosi di acqua e di fango, assumeva sempre più la forma ed il peso di una zucca di Halloween e per noi piccoli giocatori fare un passaggio di più di un metro diveniva assolutamente impossibile. Campo enorme, palla pesantissima, compagni ed avversari più grandi….ma chi me lo ha fatto fare? Fortunatamente, una delle prime modifiche regolamentari introdotte nelle scuole calcio è stata la sostituzione del pallone del n.5 (quello della Serie A per intendersi), con il pallone del n. 4 (di circonferenza e peso ridotto) ed addirittura con quello del n. 3 (spesso anche in gomma invece che di cuoio) per i bambini della fascia più piccola della scuola calcio.

Volete mettere la soddisfazione per un bambino che arriva a calciare, di vedere la propria palla volare verso la porta avversaria anziché vederla fermarsi a poca distanza senza nemmeno raggiungere il portiere? Senza poi considerare che le dimensioni dei piedi dei bambini sono spesso insufficienti per addomesticare una palla del n. 5. Sono dettagli, piccolezze, che però fanno la differenza tra uno sport a misura di bambino ed uno sport solo a misura di adulto. Considerando che la popolarità e la forza di uno sport è la base della piramide (perché se i bambini smettono di giocare a calcio, questo sport muore!!) credo sia stata una scelta semplice ma rivoluzionaria allo stesso tempo.  

Ci vediamo nella prossima puntata del nostro viaggio, per continuare a scoprire i cambiamenti che hanno portato il calcio di base ad essere quello che oggi conosciamo.

Il talento – Parte prima

Alzi la mano chi tra di voi, appassionati ed amanti del gioco del calcio, non ha sognato almeno una volta di fare il calciatore. E, nel caso affermativo, chi non si è mai immaginato con la maglia numero 10 della propria squadra del cuore. Ma perché proprio con il 10, l’unico numero che ancora oggi racchiude il sogno di essere il più bravo di tutti? Perché il dieci (el Diez) è estro, talento, fantasia, imprevedibilità, sana follia calcistica.

Si è spesso dibattuto sulla natura e sull’origine del talento: citando dal vocabolario, la parola nasce dalla “parabola dei talenti”, che raffigurano e sono simbolo dei doni affidati da Dio ai servi. Già dall’etimologia della parola dunque, si parla di dono, di capacità fuori dal comune regalate da Dio. E’ indubbio che il talento vero, quello raro, è affidato a pochi: quanti sono i calciatori baciati dal talento puro? Eppure tutti i bambini che giocano ai giardini o nelle scuole calcio sognano di diventare i nuovi Messi, Pelè, Maradona, Ronaldo (quello vero), Ronaldo il portoghese, non certo Malusci, Piraccini o Chierico (con tutto il rispetto per i tre ultimi calciatori citati, ottimi professionisti). Anche nel campo delle arti, dai musicisti agli attori fino agli scrittori ed ai cantanti, tantissimi ci provano, tanti riescono a vivere del proprio lavoro, ma pochissimi diventano stelle indiscusse. La differenza tra il mediano ed il trequartista spesso è dovuta al talento, a quella capacità tecnica che permette a determinati calciatori di effettuare lo stesso gesto tecnico in condizioni di difficoltà mantenendo pulizia del gesto ed efficacia nell’esecuzione. Senza scomodare il gol di Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986 in Messico, ci sono calciatori che riescono a dribblare nello stretto anche di fronte ad un pressing asfissiante, ed altri che preferiscono passare la palla al compagno più vicino. Sono entrambi calciatori professionisti, ma uno è tecnicamente molto più dotato dell’altro.

Tutto ciò per dire che certamente la qualità sopraffina di alcuni è un dono (che poi sia divino oppure naturale lascio a voi la scelta), ma ciò che è certo è che il colpo di genio, la giocata a sorpresa è il motivo per cui milioni di persone guardano il calcio. La serie di articoli che comincia oggi, vuole analizzare il modo in cui negli ultimi anni la tecnica calcistica è stata soppiantata da un tatticismo esasperato e da una sempre maggior importanza della forza fisica nel gioco del calcio. Tale tendenza, studiata e sottolineata con colpevole ritardo, ha visto negli ultimi anni una risposta didattica in controtendenza che parte dalle scuole calcio e che cercheremo di approfondire.

Ciò che intanto possiamo certamente sottolineare è che per esprimere le proprie capacità ed il proprio talento, il bambino o il calciatore affermato ha bisogno del contatto con l’attrezzo, cioè con la palla. Senza un rapporto continuo tra il ragazzo ed il pallone, il calcio diventa solo un’esercitazione tattica o fisica che poco ha a che fare con l’essenza del gioco. Le occasioni di contatto con la palla erano certamente maggiori fino ad almeno 20 anni fa. Quando eravamo bambini noi, era più facile giocare da soli ai giardini con il pallone fino a sera: e non c’erano fasce di età (spesso si giocava con amici, cugini o anche bambini conosciuti per caso ai quali non chiedevamo certo quanti anni avevano), non c’erano casacche (al massimo di estate ci si distingueva facendo levare la maglietta ad una squadra), non c’erano arbitri, non c’erano genitori a dare consigli anche nelle partitelle ai giardini. Siamo cresciuti marziani? Siamo cresciuti con problematiche psicologiche? Ci sentivamo abbandonati? No…semplicemente ci sentivamo liberi…. liberi di esprimere la nostra personalità attraverso un meraviglioso sport di squadra per il quale bastava trovare 4 legni o degli zaini da sdraiare quali pali per le porte ed un pallone da poter calciare o parare!

Alla prossima puntata!!