Fu vera gloria?

La ferita ancora sanguina, ma prima o poi guarirà!

Dopo l’immensa delusione di Palermo, quando gli azzurri si fecero superare dalla Macedonia del Nord nella corsa ai prossimi mondiali, la tre giorni vissuta tra Milano e Budapest ha restituito all’Italia del calcio un pò di dignità. Nel momento in cui sono usciti i gironi di Nations League, eravamo in pochissimi a credere ad una nazionale capace di accedere alle final four superando Inghilterra e Germania ed invece ancora una volta il calcio ha dimostrato come niente sia scontato, niente sia già scritto! Addirittura la qualificazione se la sono giocata le due squadre sulla carta più deboli (Ungheria) ed in crisi nera (l’Italia) ed i ragazzi di Mancini sono stati bravi a fare il colpaccio. Ma è davvero l’inizio della svolta oppure il cammino è ancora impervio?

Certamente le due gare che hanno regalato all’Italia l’accesso alle final four della Nations League, oltre che la posizione di testa di serie per il sorteggio ai prossimi europei, hanno mostrato un pò di luce in un quadro all’interno di cui permane però molta nebbia. Innanzitutto alcuni calciatori hanno dimostrato di poter costituire la spina dorsale della nostra nazionale per i prossimi anni: da Donnarumma che, seppur ancora spesso indeciso in uscita, ha sfoderato parate da campione contro l’Ungheria a Di Lorenzo, un esterno basso in grado di difendere ma anche di attaccare sia in uno schieramento a 4 (come con Spalletti nel Napoli) che in uno a 5 a tutta fascia. In mezzo al campo poi, nonostante le contemporanee assenze di Verratti e Tonali, Barella ha dimostrato di essere una colonna portante sia dal punto di vista atletico che tecnico essendo capace di unire quantità e qualità come pochissimi altri. C’è poi un calciatore che ci ha fatto stropicciare gli occhi, un pò per la freddezza dimostrata da un ragazzo nato nel 2000 ed un pò per l’assoluta necessità di ritrovare un attaccante italiano di livello internazionale: Giacomo Raspadori. Lo stesso Mancini ha sottolineato più volte le deficienze strutturali di questa nazionale in un reparto offensivo in cui avevamo disponibili per questo doppio impegno oltre a Raspadori, solamente Scamacca, Gnonto e Gabbiadini. Certo se poi un neo Senatore della Repubblica, nonché proprietario della Lazio, forza la mano alla FIGC a poche ore dalla partenza per l’Ungheria per far rimanere a casa Immobile, diventa difficile credere che a qualcuno interessi davvero la nazionale!

Se dunque Mancini può contare su alcune sorprese e determinate certezze, ancora molto deve essere fatto. Detto di un attacco asfittico che non trova un condottiero che possa portare sulle spalle il peso offensivo della nazionale e sia capace di sfruttare le occasioni che i molti centrocampisti di qualità riescono a creare, è necessario aprire una riflessione anche in merito al pacchetto arretrato. Perso Chiellini, l’unico vero leader difensivo, il CT Mancini ha probabilmente capito che Bonucci non può prendere il suo posto né tatticamente, né caratterialmente. Del resto nella storia del calcio ci sono sempre stati i leaders ed i comprimari: ricordate Baresi e Costacurta ad esempio? Uno comandava e l’altro eseguiva grazie ad un’intesa di ferro frutto di anni di battaglie combattute assieme: un leader è assolutamente necessario quando si vuole giocare con una difesa a 4 e purtroppo, dopo l’uscita di scena di Chiellini, al momento in giro non se ne vedono. Nonostante Bonucci millanti spesso la propria leadership, è necessario che questa sia riconosciuta da altri non autoproclamata! Ed anche il CT Mancini immagino la pensi come me, visto che dopo alcune prove deludenti, ha preferito affiancare al bianconero non un calciatore ma due, passando dunque alla difesa a tre: mossa decisamente azzeccata poiché, oltre ad aver dato maggiore solidità alla squadra azzurra, ha permesso a Bonucci di salire spesso ed avere il tempo di far ripartire l’azione da dietro, come in occasione della rete di Raspadori a San Siro. Resta il grande dubbio dell’età media dei difensori schierati in questo doppio impegno: dai 35 anni del capitano, ai 34 di Acerbi fino ai 32 di Toloi, la media è da far tremare i polsi ma magari a questo pensiamo un’altra volta!

Nel marasma di una nazionale sballottata dalle società e spesso poco valorizzata dalla FIGC e dalla Lega di Serie A, dobbiamo riconoscere che la stella polare da seguire ha un nome ed un cognome: Roberto Mancini. Dopo l’esclusione dai mondiali in troppi ne avevano chiesto la testa senza riconoscere il lavoro che il tecnico di Jesi ha fatto in questi anni in nazionale. Un lavoro che non è solamente quello del selezionatore, ma anche quello del parafulmini per il Presidente Gravina, per i calciatori, per lo staff: un lavoro che probabilmente Mancini fà per l’immenso amore che sta dimostrando nei confronti di una maglia azzurra che sta cercando di traghettare in un momento di transizione tra i più difficili della storia del calcio italiano. Quando uscimmo dai mondiali rimproverai a Mancini, pur non chiedendone mai l’allontanamento, il troppo rispetto per i calciatori che lo avevano portato sul tetto d’Europa e la caparbia continuità di gioco che era ormai diventata troppo leggibile per gli avversari. Non certo per merito mio, Mancini sta dimostrando di aver imparato dai propri errori e di avere la capacità di cambiare non solamente gli interpreti, ma anche lo spartito perché è stato capace di donare a questa nazionale la dote più importante: un’anima azzurra!

Avanti così! Abbiamo finalmente una nazionale che lotta e suda per la maglia!