Il talento – parte sesta

Dopo aver approfondito la tematica relativa al diritto di ogni bambino di giocare almeno un tempo di gara dei tre che compongono una partita della scuola calcio, oggi passeremo a trattare la materia fondamentale degli spazi di gioco. Secondo alcuni dei miei maestri calcistici (come il Mister Stefano Dini), il babbo e la mamma del gioco del calcio sono il tempo e lo spazio e dunque, considerando che il tempo di gioco è un aspetto che si allena soprattutto grazie al riprovare continuamente le situazioni di gara, diventa imprescindibile fare muovere i bambini in uno spazio consono alla loro età.

Ricorderete certamente come nel secondo appuntamento di questo viaggio vi abbia raccontato i miei inizi calcistici quando mi dovevo confrontare non solamente con bambini più grandi, ma anche con spazi che sembravano infiniti. Diversi studi portati avanti fin dalla fine degli anni Ottanta hanno dimostrato che il talento, e con esso la tecnica calcistica, prospera laddove il bambino ha la possibilità di toccare tantissime volte il pallone nelle più disparate condizioni di gioco. Ecco allora che, partendo da ciò, si è iniziato a pensare quale fosse il modo migliore per coinvolgere maggiormente il bambino e per aumentare il numero dei tocchi di palla. Fu chiaro fin da subito che il bambino deve avere dei mezzi e degli spazi adatti alle proprie dimensioni: non solamente il pallone del numero 4, non solamente delle porte con dimensioni più piccole (come  quelle di 4 metri di larghezza per 2 metri di altezza), ma anche uno spazio a misura di bambino. Ecco allora nascere l’idea di giocare su di un campo ridotto con un numero più piccolo di partecipanti.

Non pensate però sia stato un passaggio culturale semplice! Ricordo ancora che quando la Federazione Italiana Giuoco Calcio introdusse il nuovo regolamento con il calcio a 5 ed il calcio a 7 (mentre il calcio a 9 è arrivato successivamente), diversi Entri di Promozione Sportiva continuavano ad organizzare campionati o tornei di calcio a 11 anche per i più piccoli perché solo quello era il “vero calcio”! Non si riusciva, o non si voleva vedere che la piccola rivoluzione in atto non faceva altro che accrescere la partecipazione del singolo bambino al gioco ed il suo grado di soddisfazione! Venne inserito dunque, all’interno dell’attività della scuola calcio, il calcio a 5 ed il calcio a 7 per le categorie più piccole, mentre lo step successivo fu appunto quello del calcio a 9; quest’ultimo arrivò poiché ci si accorse che lo scalino tra il calcio a 7 e quello ad 11 risultava spesso difficilmente digeribile soprattutto da quei bambini più indietro dal punto di vista tecnico e motorio. Il salto da un tipo di calcio a quello successivo era troppo grande sia per le mutate dimensioni del campo (dunque lo spazio), sia per le diverse situazioni di gioco (dunque il tempo).

Lo straordinario successo del cosiddetto “nuovo calcio” è stato certificato da moltissimi studi che hanno paragonato il numero dei tocchi della palla, quello dei tiri in porta, quello dello spazio percorso dai bambini. Le condizioni più a misura dei piccoli calciatori, hanno donato nuovo entusiasmo per il ritrovato protagonismo: molti più tocchi della palla, molti più dribbling tentati, tanti tiri in porta effettuati permettevano ai bambini di migliorare molto più velocemente sia dal punto di vista tecnico che motorio. Ciò che poi molti sottovalutano troppo spesso, è l’impatto che la nuova forma di gara ha avuto sulle sedute di allenamento. Fino ad alcuni anni prima, anche le sedute settimanali ricalcavano gli spazi ed i tempi del calcio a 11. Dunque il bambino piccolo non solo veniva mortificato nel proprio entusiasmo in occasione della gara domenicale, ma anche durante la settimana quando si scimmiottava una partita che però era adatta solamente ai bambini che erano già molto avanti. Diveniva così sempre più grande la differenza tra coloro che già erano bravi e pronti per praticare questo sport ed i bambini che invece avevano bisogno di più tempo per imparare il gesto tecnico e per migliorare le proprie capacità coordinative. Ridurre dunque gli spazi di gioco ha certamente aiutato i meno abili ad avere un rapporto più continuo con la palla e con il proprio corpo, senza svantaggiare i più bravi che hanno avuto la possibilità di rinforzare le proprie capacità tecniche anche in spazi ristretti. Quante volte abbiamo visto ragazzi che dominavano le partite solo ed esclusivamente perché più grandi fisicamente, più avanti nello sviluppo? Spesso però, avvantaggiati dal campo grande, quegli stessi bambini non prestavano la necessaria attenzione agli aspetti tecnici del gioco poiché non ne avevano bisogno per primeggiare. Giocare in spazi stretti, con più bambini in un fazzoletto di campo, costringe tutti a giocare 1 contro 1, a migliorare il gesto tecnico per non farsi rubare la palla, a migliorare la soglia di attenzione. Non è forse questa la scuola calcio?

Nella prossima puntata, focalizzeremo l’obiettivo sui risvolti che tali cambiamenti hanno avuto anche nei rapporti con le altre istituzioni, in primis la scuola.

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